Giornata mondiale poveri: mons. Nosiglia (Torino), “tanti giovani e cinquantenni senza lavoro vivono senza speranza tra l’indifferenza di chi dovrebbe occuparsene”

“Scendere sulla strada con chi è sulla strada della sofferenza e della emarginazione e anche sulle strade della nostra città, come i senza dimora. Occorre farsi vicini con gesti di amore sincero e non con elemosine che lasciano trasparire la superiorità; aprire anzitutto la propria casa all’altro, prima che incentivare o delegare ad altri il compito”. Lo ha detto ieri l’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, nel suo saluto nella chiesa della Piccola Casa della Divina Provvidenza, dove si sono riunite comunità parrocchiali e religiose, associazioni e persone accolte nei servizi di carità, in occasione della Giornata mondiale dei poveri. “Non una semplice e passeggera occasione per parlare dei poveri e incontrarli – ha sottolineato – ma un preciso impegno da assumere in coscienza e nella nostra vita quotidiana verso coloro che nella società sono meno fortunati e debbono affrontare condizioni di vita difficili e faticose”. Un’occasione, secondo mons. Nosiglia, per “scuotere quel certo perbenismo di maniera che si riempie la bocca della parola ‘poveri’, ma non li ha mai avvicinati e guardati in faccia viso a viso, oppure si limita a dare qualche spicciolo di elemosina a chi lo chiede, senza perdere troppo tempo per parlare con le persone e aprire il proprio cuore, non solo il portafogli, per dare loro il calore dell’amicizia e dell’accoglienza”. L’arcivescovo si è soffermato sulla realtà vissuta a Torino, dove “l’esercito dei poveri sta crescendo sempre più e si allarga con nuove forme di povertà, che colpiscono famiglie e persone che fino a ieri si consideravano esenti da questo problema”. “La povertà e l’emarginazione estrema distruggono la dignità della persona e calpestano i suoi diritti di giustizia più elementari. E non esiste purtroppo un programma efficace di lotta a queste povertà”, ha aggiunto. “Si interviene per lo più sulle emergenze, ma le falle rimangono”. È per questo motivo che “i poveri e i nuovi poveri, che sono tanti giovani che non trovano lavoro e tanti cinquantenni che l’hanno perso, vivono come in un limbo, privi di speranza, tra l’indifferenza di chi dovrebbe, per dovere politico e professionale, occuparsene come primo problema da affrontare”. Ma “se questo atteggiamento cambierà, si riuscirà a imboccare strade di un welfare di inclusione sociale che unisce giustizia, carità e il sostegno adeguato per promuovere ogni persona a prendere in mano la propria situazione e trovare sbocchi appropriati alle proprie capacità e intraprendenza”.

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