Caritas: la testimonianza di chi si è ribellato ai caporali, “è ora di una certificazione etica”

(dall’inviata Sir a Castellaneta) “La legge sul caporalato è incompleta perché manca la parte della tracciabilità della filiera. Serve una certificazione etica. La vera battaglia ora è costruire un modello alternativo alla grande distribuzione, tra i principali responsabili dello sfruttamento”: lo ha detto stasera Yvan Sagnet, ingegnere del Camerun, nominato cavaliere della Repubblica Italiana per essersi ribellato ai caporali contro lo sfruttamento dei braccianti nelle campagne italiane. Sagnet ora vive a Roma e si occupa della difesa dei diritti dei lavoratori, in particolare migranti. Ha raccontato la sua storia durante il 39° Convegno nazionale delle Caritas diocesane in corso da oggi fino al 30 marzo a Castellaneta marina (Taranto). Con un appello ai consumatori: “Ogni volta che andate al supermercato verificate che un prodotto sia di qualità, non solo biologica, ma che rispetti i diritti di chi lavora”. Dopo aver studiato in una università italiana Sagnet ha conosciuto lo sfruttamento nella raccolta di pomodori nelle campagne pugliesi di Nardò: “Lì ho scoperto il lato oscuro di questo Paese: il caporalato, lo sfruttamento, lo schiavismo, i ghetti. Nel centro d’accoglienza per i braccianti eravamo 1.300/1.400 persone con 100 tende. Dovevamo fare file di 2 o 3 ore per la doccia. I caporali venivano presto la mattina e ci caricavano nei furgoni da 9 posti in 25”.  Dopo cinque giorni si rese conto che gli restavano solo 4 euro al giorno (il resto dei 14 euro che guadagnava dopo 12 ore di lavoro, 3,5 euro a cassone di 300 kg di pomodori, lo spendeva per pagare il panino e il trasporto ai caporali), nel 2011 organizzò il primo sciopero dei braccianti, che durò un mese e mezzo. “Ma non era facile perché dietro quel sistema c’era la criminalità organizzata – ha raccontato -. Poi c’erano difficoltà di ordine culturale, non tutti capivano perché era importante difendere la nostra dignità. Alla fine siamo riusciti grazie all’aiuto di tante realtà. Lo sciopero ha dato dei risultati. Siamo riusciti ad ottenere finalmente una legge penale contro il caporalato e gli arresti di quei delinquenti”.

Una esperienza di “schiavismo” che ha cambiato la sua vita e lo ha spinto ad impegnarsi per questa battaglia di civiltà. “Oggi la nostra agricoltura regge non soltanto grazie alle eccellenze italiane ma grazie allo sfruttamento – ha affermato -. La legge contro il caporalato è buona ma non basta, perché lo Stato dovrebbe impegnarsi di più nei controlli altrimenti tutto rischia di rimanere sulla carta”. A suo avviso bisogna “richiamare all’ordine i veri responsabili perché il caporalato è solo l’ultimo anello di una lunga catena di sfruttamento che ha al centro le multinazionali della grande distribuzione, oltre agli imprenditori”. Sagnet ha poi denunciato che il fenomeno “coinvolge anche gli italiani: in questa zona, da Ginosa o San Michele Tolentino, 15.000 donne italiane sono trasportate dai caporali verso le campagne del metapontino e del nord barese. Guadagnano 3 euro all’ora per 10 ore al giorno, con 3 ore di viaggio”. “Colpire il caporalato non basta – ha suggerito -. Bisogna reintrodurre il collocamento pubblico per l’incontro tra domanda e offerta. E cambiare il modello di sviluppo, il modello produttivo, perché c’è un meccanismo perverso per cui la grande distribuzione impone i prezzi dei prodotti e induce il sistema a sfruttare i lavoratori. Come fa un contadino costretto a vendere a 8 centesimi 1 kg di arance? E’ costretto a sfruttare quelle braccia per rimanere sul mercato”.

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