Niger: Paese sotto embargo. Un missionario racconta: “non c’è lavoro e campiamo di aiuti internazionali”

Dosso, a sud-ovest del Niger, è un comune rurale aridissimo, tra i più prossimi al confine col Benin: 420 km lo separano da questo Paese africano che, per ritorsione, da agosto scorso, ha chiuso le frontiere e non fa entrare più niente e nessuno in Niger. Né cibo, né aiuti, né carburante. “Noi distribuiamo ogni mese 25 chilogrammi di riso e una piccola somma di venti euro alle famiglie più povere, perché possano comprarsi del condimento da mettere nel riso, questo è tutto quello che si magia a Dosso! I prezzi degli alimenti salgono e non c’è neanche più allevamento, la carne non la vediamo quasi mai”. Lo racconta a “Popoli e Missione” padre Rafael Casamayor, missionario Sma (Società missioni africane) raggiunto al telefono fisso, nella sua casa di Dosso, dove vive dal 2021. È l’unico missionario a risiedere fuori Niamey. La sua vita è stata interamente dedicata all’Africa, dove è in missione da 50 anni: preghiere, sacramenti, messe e tanta carità sono la quotidianità dell’anziano sacerdote. “Siamo in un capoluogo di provincia, 80mila persone vivono a Dosso, e circa 150 km ci separano da Niamey”, dice. Ma le distanze si allungano poiché ci si sposta a piedi.
“La vita è soprattutto agricola qui, si coltivano miglio e sorgo. Ma la verità è che non c’è lavoro e campiamo di aiuti internazionali”, racconta. Quella che lui definisce “punizione” o “ritorsione” da parte dell’Ecowas (la Comunità economica dei Paesi dell’Africa Occidentale guidati dalla Nigeria) è in realtà il risultato – scrive Ilaria de Bonis della redazione di “Popoli e Missione” – delle sanzioni economiche messe in atto contro la giunta militare al potere in Niger, per il colpo di Stato di luglio scorso. Ma gli effetti dell’embargo sono visibili più sulla gente povera, che non sui vertici militari, che di fatti non hanno alcuna intenzione di cedere il potere e di indire nuove elezioni.
“È un momento di forte difficoltà per tutti, questo – confida padre Rafael – in particolare per chi vive lontano dalla capitale e speriamo che Dio ci aiuti”. Le attività lavorative sono sospese non restano che il mercato, l’economia informale e gli orti famigliari. “In qualche piccolo pezzo di terra le famiglie coltivano pomodori, cipolle e lattuga, perché sotto al deserto scorre un fiumiciattolo e c’è acqua a poca profondità”, racconta. Ma per il resto manca tutto e inoltre “il pericolo è che il Paese diventi sempre più soggetto ai movimenti islamisti legati ad Al Qaeda”, spiega il missionario.
“Nella casa Sma di Dosso siamo rimasti io e un seminarista – racconta sgomento padre Rafael – e aiutiamo come possiamo. Gli impiegati pubblici da noi non ricevono più lo stipendio da agosto scorso, lo stesso vale per gli insegnanti… Gli aiuti sono drasticamente calati”.

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