Sinodo giovani: Rivoltella (Cremit), rispetto ai social “condividere linguaggi, pratiche, abitudini” e “educare al cervello bilingue”

Gli adulti non devono “asserragliarsi a difesa degli alfabeti tradizionali tenendo fuori della porta quelli digitali. Al tempo stesso, è un errore cavalcare questi ultimi tralasciando quelli tradizionali”. Ne è convinto Pier Cesare Rivoltella, direttore del Cremit (Centro di ricerca per l’educazione ai media, all’informazione e alla tecnologia) dell’Università cattolica del Sacro Cuore. Intervenuto alla seconda giornata del seminario dei docenti di teologia e degli assistenti pastorali “In un cuore intelligente risiede la sapienza. Giovani, università e discernimento”, promosso dall’Ateneo (Roma, 11 – 14 settembre), il docente si sofferma sul profilo social dei giovani. Si ritiene che i social, tecnologie costruite sul disallineamento e sulla rarefazione del rapporto spazio–tempo, “introducano frantumazione all’interno delle relazioni familiari, ma le ricerche condotte sul parenting – spiega l’esperto – dimostrano che spesso è vero il contrario. Attraverso i social media molti genitori e figli riescono a comunicare, anzi aiuta a creare complicità, che è l’anticamera di una relazione che il genitore può ricostruire”. Per quanto riguarda la partecipazione, “essere social significa avere la possibilità di essere informati ed emotivamente coinvolti con la sofferenza su scala planetaria. Spesso però questo produce sentimenti di solidarietà leggera e a bassa partecipazione senza spendersi in prima persona”. Forte il rischio che “si riduca ad un like o ad un commento”. Di qui, prosegue Rivoltella, “i due rischi principali da non correre quando si ragiona dal punto di vista educativo su giovani e social. Da una parte, quello di approfondire il gap tra i comportamenti e le culture di giovani e adulti, il secondo, che è stretta conseguenza del primo, è evitare di trovarci nelle condizioni di non riuscire ad aiutarli”. L’adulto “non si deve arroccare nel suo mondo e nel suo alfabeto tradizionale, occorre condividere linguaggi, pratiche e abitudini per gettare un ponte, una passerella tra due mondi che altrimenti rischiano di essere incomunicabili”. Ecco il monito conclusivo, nella parole di una celebre studiosa: “Occorre educare al cervello bilingue”.

© Riproduzione Riservata

Quotidiano

Quotidiano - Italiano

Chiesa

Informativa sulla Privacy