Giovani: Bracciali (Acli), “nel modo di pensare precario dobbiamo ridare il giusto valore e la giusta identità al lavoro”

“Nel modo di pensare precario dobbiamo ridare il giusto valore e la giusta identità al lavoro perché il rischio è che la china intrapresa porti i giovani a pensare l’esperienza del lavoro non tanto come una forma crescita ma solamente come dei momenti di passaggio che non hanno pertinenza rispetto alla comunità e alla costruzione di se stessi”. Lo ha affermato questa mattina Matteo Bracciali, coordinatore nazionale dei giovani delle Acli, presentando la ricerca “Il Ri(s)catto del presente. Giovani italiani, expat e seconde generazioni (G2) di fronte al lavoro e al cambiamento delle prospettive generazionali” nel corso della conferenza stampa in cui, alla Camera dei deputati, si sono anticipati alcuni temi al centro del 50° incontro nazionale di studi delle Acli che si svolgerà dal 14 al 16 settembre a Napoli. L’indagine ha riguardato poco più di 2500 ragazzi: 1755 sono giovani italiani, 535 invece gli “expat”, cioè ragazzi italiani che vivono all’estero dal almeno sei mesi, e 229 i giovani stranieri di seconda generazione. Nel fornire alcuni dei dati più rilevanti, Bracciali ha evidenziato che siamo di fronte ad una “generazione che pensa precario, per la quale il tema del lavoro non è più trattato come un moloch ideologico ma la scelta è quella di percorrere l’esperienza lavorativa come si gestisse e si trattasse una merce”. “Il dibattito pubblico – ha aggiunto – risulta spesso falsato da alcuni preconcetti affibbiati ad una generazione che è molto varia”. Bracciali ha evidenziato le diversità tra le diverse categorie indagate nella soddisfazione nel lavoro, nella percezione dell’adeguatezza della retribuzione, nella valutazione del percorso formativo seguito. Rispetto al “lavoro in deroga”, ha spiegato, “solo l’11% ritiene che le organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori possano fare qualcosa per difendere il lavoro”. Ma “i giovani sentono l’esigenza di tutela” e “il 30% ritiene che l’autoorganizzazione più essere una risposta alla mancata tutela che sindacati e istituzioni non danno più”. Bracciali ha inoltre sottolineato come i giovani siano disposti alle concessioni della “mobilità e del lavoro in nero, entrambe al 35%” per evitare di essere licenziato ritenendo “non sono praticabili” le strade “della formazione e del continuare con la ricerca di lavoro aspettando che si presenti una buona occasione”. “Solo un giovane su 10 – ha concluso si dice indisponibile a qualsiasi concessione; una strettissima minoranza che ritiene di porsi in maniera totalmente difensiva rispetto al mondo del lavoro che cambia”.

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