Monsignor Galantino: no a “paralisi” e “cultura dell’ingombro”

“Faccio parte della confraternita di coloro che fanno un ‘tappo’ impedendo agli altri di entrare in contatto col Signore, o dei quattro barellieri che calano dal tetto il paralitico?”. A rivolgere la domanda è stato monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, celebrando oggi presso l’Auditorium della Cei la Messa per il trigesimo della morte di monsignor Francesco Ceriotti, già direttore dell’Ufficio nazionale della Cei per le comunicazioni sociali. Sulla scorta del Vangelo di oggi, che narra della guarigione del paralitico, Galantino ha fatto notare che “a fare da tappo alla cultura dell’incontro non ci sono solo persone e circostanze fuori di noi: molto spesso ci sono le nostre chiusure, i nostri ideologismi, gli interessi e i calcoli meschini”. Bisogna fare, allora, come i quattro barellieri dell’episodio evangelico, che “non si danno per vinti, e trovano altre strade per far diventare realtà quell’incontro che salva. Hanno fatto tutto i barellieri, e la loro fede stupisce Gesù”. No, quindi, alle “tante paralisi” che posso impedirci di incontrare il Signore, sì invece alla “rivitalizzazione dei tanti nostri impegni”, attraverso quella “lealtà di comportamento” di cui è stato maestro mons. Ceriotti. “È la fede della Chiesa che mi salva – ha ammonito Galantino – non il mettermi da parte per far vedere che so fare meglio degli altri”. Invece di un “cultura dell’incontro”, questa per il segretario generale della Cei sarebbe una “cultura dell’ingombro”. “Gesù è venuto a guarire l’uomo intero, non a rispondere ad alcune pretese dei singoli”, ha fatto notare il vescovo a proposito della “guarigione” di Gesù, che “porta una salvezza più profonda, più duratura” di quella che tutti si aspettavano per il paralitico.

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