Emilia Romagna: un percorso di “convivenza” tra ragazzi e famiglie con disabilità

Un percorso di condivisione, accompagnamento e a volte una vera e propria “convivenza” tra famiglie, consacrati e persone con disabilità e disagio sociale. A promuoverlo sono alcune realtà dell’Emilia Romagna che, partendo dalle Case della carità, hanno dato il via a diverse iniziative di inserimento lavorativo e sociale per le persone che seguono

foto SIR/Marco Calvarese

Un percorso di condivisione, accompagnamento e a volte una vera e propria “convivenza” tra famiglie, consacrati e persone con disabilità e disagio sociale. A promuoverlo sono alcune realtà dell’Emilia Romagna che, partendo dalle Case della carità, hanno dato il via a diverse iniziative di inserimento lavorativo e sociale per le persone che seguono.
In particolare, “ci sono famiglie in alcune parrocchie che si alternano e accolgono persone con disabilità, anche minorenni, e portano all’interno della struttura tutta la loro situazione famigliare e lavorativa. Questo clima oltre a contribuire a includere questi ragazzi, creano una continuità necessaria. C’è un vero e proprio ambiente di comunità”, racconta al Sir Gabriele Benatti, tra i responsabili e promotori di queste realtà.

Ma non solo. Nell’ambito pastorale e diocesano, sono state promosse diverse esperienze che ormai vanno avanti da oltre 40 anni. È stato creato un collegamento, seguito da un gruppo, chiamato “L’isola che non c’è”. Si tratta, racconta Benatti, di diverse persone che accudiscono ragazzi in difficoltà.

Allo stesso tempo è stata creata una vera e propria realtà sportiva di persone con disabilità. Tanti ragazzi, con difficoltà diverse, vengono affiancati da alcuni volontari, almeno due per ogni persona non autosufficiente, e intraprendono diverse attività sportive in base al loro gusto e alle loro potenzialità.
Questo, non sono ha consentito ai ragazzi di praticare sport, ma ha creato una vera e propria comunità fondata sullo

foto SIR/Marco Calvarese

sport.
“La cosa più bella di queste esperienze diffuse sul tutto il territorio – spiega Benatti – è che sono state strutturate come delle vere e proprie famiglie. Quindi questi ragazzi si sentono in tutto a casa, anche se sono con persone che non hanno legami parentali. Questo vale anche per i ragazzi che hanno una famiglia e per le loro famiglie appunto. Questi ragazzi trovano una sorta di “seconda casa” e le loro famiglie conforto e aiuto, oltre che un sostegno fattivo”.

Tutti questi organismi hanno avuto un forte sviluppo nel corso degli anni, e sono ancora in crescita.

“Questi ragazzi si realizzano attraverso il lavoro, lo sport, i momenti sociali, sono ragazzi che hanno tutte le capacità possibili, sono in grado di far tutto e spesso molto meglio di altri. Allo stesso modo molti di loro hanno grandi potenzialità che non riescono a esprimere. Queste iniziative, però consentono loro di farlo al meglio e nelle situazioni che preferiscono. Ma la cosa più importante – conclude Benatti – è che questi ragazzi sono finalmente felici e sereni, vivendo una vita al massimo delle loro possibilità e in serenità”.

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