Como: da vent’anni due porte aperte a poveri e immigrati nel nome di un prete “di frontiera”

La Caritas diocesana di Como ricorda in questi giorni il ventennale di due servizi dedicati alle povertà del territorio: il Centro di ascolto “Don Renzo Beretta” e il servizio “Porta aperta”. Nel corso del tempo aiutate oltre 18mila persone. E si guarda avanti con determinazione. Il grazie del sindaco e del vicario generale della diocesi

Il Centro di ascolto Caritas a Como. Nelle altre foto il servizio "Porta aperta" e un'immagine di don Renzo Beretta

Sono oltre 18mila le persone a cui la Caritas diocesana di Como ha letteralmente aperto la porta negli ultimi vent’anni, seimila colloqui nel solo 2018. A queste vanno aggiunge le oltre tremila famiglie a cui si è prestato ascolto, ridato dignità, nel tentativo di accompagnarle ad uscire da situazioni di crisi. Basterebbero queste cifre per dare il senso di ciò che hanno rappresentato il servizio Porta aperta e il Centro di ascolto “Don Renzo Beretta” per l’intera città di Como, ma gli operatori e i volontari della Caritas invitano ad andare oltre i semplici numeri. “Se dovessi trovare una definizione per quello che facciamo, direi che siamo soprattutto raccoglitori di storie”, racconta al Sir Giuseppe Menafra, referente del servizio Porta aperta in cui lavora dal 2003.

“Credete in ciò che fate”. Per cercare di non perdere il patrimonio rappresentato da queste storie e restituire alla cittadinanza il valore di un servizio portato avanti con determinazione dal settembre 1999, la Caritas diocesana di Como e la Fondazione Caritas solidarietà e servizio onlus, che ne rappresenta il braccio operativo, hanno organizzato un incontro pubblico che si è tenuto lo scorso 5 ottobre alla biblioteca comunale “Paolo Borsellino” di Como. L’appuntamento è stato anche l’occasione per presentare una pubblicazione, intitolata “20 anni di ascolto e servizio”, realizzata dalla Caritas per fare un bilancio di questi due decenni di attività. Presente anche il sindaco di Como, Mario Landriscina, che ha voluto ringraziare – a nome dell’intera città – i volontari e gli operatori che hanno permesso tutto questo. “La città di Como vi è riconoscente. Personalmente vi ammiro perché credete in ciò che fate. Il volontariato è vita, un tesoro da non disperdere. Le vostre scelte di vita sono di grande profilo. Siate contagiosi e datemi sempre la possibilità di aiutarvi”, ha detto il sindaco.

Il sacrificio di don Renzo. I servizi Caritas a Como hanno iniziato ufficialmente le loro attività il 13 settembre 1999 in una fase davvero drammatica per la Chiesa comense e l’intera realtà cittadina. Pochi mesi prima, il 20 gennaio 1999, era stato ucciso a Ponte Chiasso, quartiere della periferia al confine con la Svizzera,

don Renzo Beretta, parroco che aveva aperto le porte della sua chiesa ai migranti

che – già allora – cercavano di passare il confine per andare in Svizzera. “Ripensando a quel lontano 1999, l’anno della morte di don Renzo, ricordo un momento molto confuso in cui vivevamo una grande contraddizione di fondo: da un lato provavamo paura di fronte a una situazione che sembrava incontrollabile, avevamo la chiara sensazione di non avere i mezzi, le energie e le condizioni necessarie ad accogliere, dall’altro – proprio alla luce dell’esempio e della testimonianza di don Renzo – ci sembrava inevitabile continuare a tenere fede alla logica evangelica continuando a fare quello che facevamo”, ricorda nella pubblicazione l’allora direttore della Caritas don Battista Galli.

Un volto solidale… La risposta che arriva, dopo mesi di riflessione, è quella di chiudere il Centro di ascolto e di aiuto esistente dal 1986, non più in grado di reggere la pressione dei numeri crescenti, e di dividere i servizi: da una parte un Centro di ascolto che potesse avere un ruolo più orientato all’ascolto e non soltanto all’aiuto, maggiormente rivolto alla comunità locale e alle famiglie. Dall’altro un luogo che potesse rispondere a situazioni di emergenza reali e concrete con un attenzione particolare ai senza dimora. “Una scelta, quella di non basare il discrimine sulla nazionalità, ma sul fatto di avere o meno una casa che, a distanza di vent’anni, si è rivelata profetica e continua ad orientare il nostro lavoro”, spiega Massimiliano Cossa, direttore della Fondazione Caritas solidarietà e servizio onlus che è arrivata oggi a contare 28 operatori e decine di volontari. Va oltre il direttore della Caritas Roberto Bernasconi che parla di un contributo decisivo di questi due servizi “nel plasmare il volto solidale della nostra città”.

Il seme che muore porta frutto. Ancora oggi il servizio Porta aperta rappresenta il primo luogo a cui una persona che si trova in stato di grave bisogno può rivolgersi. Qui viene effettuato l’ascolto e l’orientamento dei servizi di bassa soglia: dormitori, mense, docce, consulenza legale. “Dalla sua apertura a oggi – ha sottolineato Beppe Menafra, referente di Porta aperta – il servizio ha accolto oltre 18mila persone. Il dato aggiornato di quest’anno mette in evidenza il trend degli ultimi anni: in dieci mesi siamo a quota 1.069 persone accolte: il 16% è rappresentato da italiani e il resto da persone di ben 69 nazioni estere”. Per poi aggiungere:

“Davvero un mondo che passa dalla nostra città”.

Molti di loro sono migranti che arrivano a Como nel tentativo di varcare il confine, come ai tempi di don Renzo Beretta. Uomini e donne che oggi, grazie anche ai frutti nati dalla sua tragica morte, trovano una Chiesa pronta a tendere la mano, ad aprire la porta. È la logica evangelica del seme che muore per portare frutto. Lo ha ricordato il vicario generale don Renato Lanzetti: “In Caritas, in questi 20 anni, le parole del Vangelo sono diventate fatti concreti”.

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