Divisioni dannose

Quello che nasce ora è ancor più palesemente un “partito personale”, che, a quanto pare, non riscuote grandi consensi - visto che Renzi è ai minimi della sua popolarità e le congetture su un’affermazione elettorale si attestano attualmente molto al di sotto del 10%. Sarà anche il nuovo fondatore destinato a una progressiva insignificanza, come è stato in un recente passato l’esito di molti “fuoriusciti”?

foto SIR/Marco Calvarese

Proprio allo scadere di questa “pazza estate” che, a livello politico, ne ha viste letteralmente di tutti i colori, Matteo Renzi ha pensato bene di fare il botto finale, che peraltro annuncia altre novità. Comprensibile sconcerto in molti, anche se questa strana scissione dal Pd era già temuta e preventivata da tempo. Lo sconcerto viene soprattutto, ora, dalla rapida successione dei fatti: lo stesso Renzi, che poche settimane fa aveva patrocinato la nascita del governo Conte bis spingendo a forza il proprio riluttante segretario e praticamente sdoganando il M5S, ora abbandona clamorosamente una delle due forze politiche “alleate” (sia lecito comprendere ormai Leu nello stesso ruolo del Pd) costituendo direttamente in parlamento una terza forza raggruppando buona parte dei “suoi” eletti (per ora non raggiungono la quarantina…) in un partito tutto nuovo, con tanto di nome accattivante “Italia viva”, registrandone già il sito. A parte l’origine e gli ascendenti del nome – dal libro di Mario Capanna del 2000 (con relativa accusa di plagio), allo slogan di Veltroni nel 2008 e al tema della Leopolda 2012 -, l’idea di ravvivare proficuamente la scena politica italiana non è certo peregrina, anche se, a quanto pare, è fin troppo viva e vivace, a giudicare dai colpi di scena di quest’estate! Ma è difficile comprendere le motivazioni e le finalità di un tale strappo che indubbiamente si traduce in una ferita non lieve per un partito che stava recuperando consensi e che promette a sua volta un rinnovamento, e si rivela un prevedibile vulnus anche al neonato governo, per quanto il leader fiorentino si affretti a rassicurare Conte (che faticherà a fidarsi delle sue promesse verbali, dopo le clamorose esperienze precedenti). Quello che più preoccupa, infatti, è il futuro del Paese, che ora dovrà fare i conti anche con una terza forza dai contorni indefiniti, guidata da un leader imprevedibile. Renzi assicura che non ci saranno ripercussioni sul governo, né sulla legislatura, che potranno andare comodamente avanti fino al 2023, tanto più che nel 2022 ci sarà l’elezione del capo dello Stato. Ma in quest’atmosfera è spontaneo dubitare! Restano poi le questioni dell’identità e dell’endemica predisposizione all’autodistruzione della sinistra italiana, che da sempre (fin dal 1921-22) gioca alle separazioni, scissioni e ricomposizioni, non trovando mai una sufficiente costanza di indirizzo: sollecitata certamente dall’evolvere delle situazioni, ma anche condizionata dagli umori e dai progetti dei suoi leader. Quello che nasce ora è ancor più palesemente un “partito personale”, che, a quanto pare, non riscuote grandi consensi – visto che Renzi è ai minimi della sua popolarità e le congetture su un’affermazione elettorale si attestano attualmente molto al di sotto del 10%. Sarà anche il nuovo fondatore destinato a una progressiva insignificanza, come è stato in un recente passato l’esito di molti “fuoriusciti”? Egli è convinto che si sia aperta un’ampia zona al centro dello schieramento politico, dopo l’abbraccio Pd-Leu con i 5stelle e a causa del lento ma inesorabile sfaldamento di Forza Italia; e intende dunque intercettare quanti aspirano a una nuova presenza liberale e liberista nel segno di un rinnovato e più moderno riformismo. Mentre si discute dell’opzione elettorale tra maggioritario e proporzionale, sembra che i politici continuino a guardare al proprio tornaconto anziché al bene del Paese.

(*) direttore “Nuova Scintilla” (Chioggia)

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