Atto vandalico al Brancaccio. Mons. Lorefice (Palermo): “La comunità cristiana deve farsi avanti”

"È chiaro che don Puglisi non può che restare scomodo, a maggior ragione se si tiene desta la sua memoria non solo nella dimensione celebrativa, ma nella dimensione sostanziale, cioè nella condivisione della sua visione di Chiesa e di comunità, di presenza di essa nel territorio. Non può che rimanere scomodo!". Parla l'arcivescovo di Palermo, mons. Corrado Lorefice, commentando l'ultimo atto vandalico messo a segno contro un terreno spoglio sul quale, a Brancaccio, si costruirà il primo asilo nido del quartiere

“Andiamo avanti con coraggio e con lucidità, lavoriamo insieme e in rete con lo Stato, con le istituzioni, l’amministrazione, la parrocchia, il Centro Padre nostro e l’intera comunità diocesana. Avanti senza farci scoraggiare: ancora la sfida formativa è pienamente aperta”. Sono parole di esortazione quelle mons. Corrado Lorefice pronuncia commentando l’ultimo atto vandalico messo a segno contro un terreno spoglio sul quale, a Brancaccio, si costruirà il primo asilo nido del quartiere. Il rogo di vecchia mobilia che ha bruciato la scorsa notte non è il primo e non basta una mano a contare gli episodi che si sono susseguiti. “È chiaro che don Puglisi non può che restare scomodo – aggiunge il presule -, a maggior ragione se si tiene desta la sua memoria non solo nella dimensione celebrativa, ma nella dimensione sostanziale, cioè nella condivisione della sua visione di Chiesa e di comunità, di presenza di essa nel territorio. Non può che rimanere scomodo!”.
Molto è stato fatto: per il presule

“c’è maggiore consapevolezza e più coscienza, ma non significa che sia venuta meno la mentalità e la prassi mafiosa.

D’altra parte – aggiunge mons. Lorefice -, noi vescovi di Sicilia abbiamo sentito il bisogno di commemorare la presenza di Giovanni Paolo II in Sicilia, e in particolare quel grido, ‘Convertitevi!’, rivolto ai mafiosi da Agrigento. Lo abbiamo fatto, lo scorso maggio, con una lettera: abbiamo detto che bisogna continuare l’opera formativa e farlo in termini evangelici”.

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

Anche Papa Francesco, lo scorso settembre, quando ha visitato Palermo e anche Brancaccio, ha ricordato che la prassi e la mentalità mafiosa non si possono considerare cristiane, come come chi appartiene ad una organizzazione mafiosa o malavitosa. “Questo deve essere chiaro – dice l’arcivescovo di Palermo – ed anche il Pontefice parla di mafia in dimensione ecclesiale e con un linguaggio evangelico: ha ripetuto, infatti, la parola ‘Convertitevi!’ aggiungendo che il mafioso è comunque nostro fratello e nostra sorella, ma non può assolutamente arrogarsi il titolo di cristiano”.
A firmare l’episodio di vandalismo di Brancaccio sarebbero stati dei ragazzi, “ragazzi – dice – che si possono addirittura permettere di tener testa a chi, nel quartiere, si sforza di portare avanti insieme alla parrocchia e alle istituzioni, quell’opera di presenza che può trasformare la mentalità e la cultura”. Ecco allora che, per il presule,

“la comunità cristiana ha un ruolo chiaro: non può non accettare questa sfida culturale ed educativa”.

I fenomeni dei quali si parla, infatti, non sono a suo avviso solo “rivelativi di una mentalità che è ancora in auge”: infatti, “se dei bambini a tutt’oggi si permettono tali linguaggi e si prestano a tali atti, è chiaro che noi dobbiamo potare avanti con chiarezza questo discorso”. Il pastore della Chiesa palermitana racconta che, quando è stato consegnato il progetto dell’asilo nido, lo ha considerato “un segno che ci chiede di ripartire dai bambini e di farlo con la nostra logica evangelica. I bambini come ogni uomo e ogni donna, sono figli di Dio, sono suoi e non sono nostri, tantomeno di Cosa nostra”.
Intanto, nello stesso giorno del rogo nel quartiere dove don Pino Puglisi svolgeva il suo ministero sacerdotale e dove ha trovato la morte, da Palermo arriva anche la notizia di un tentato assalto a un minimarket del centro storico durante il quale un rapinatore trentenne magrebino, che ha fatto irruzione nel locale, è stato ucciso a bastonate dal gestore, originario del Bangladesh. I due fatti non si discostano troppo.

“È una guerra tra poveri, segno di come alcuni problemi sociali sono affrontati: più si insinua la paura dell’altro, del diverso, più si insinua questo linguaggio aggressivo, più si innalzano muri, più si fomenta la paura – dice mons. Lorefice – e più dobbiamo aspettarci la crescita della violenza.

Anche su questo versante, ci dobbiamo assumerne le nostre responsabilità: soprattutto chi ha compiti istituzionali – aggiunge – deve aiutarci a guardare in profondità i problemi reali senza fomentare paure”.
Per l’arcivescovo “c’è bisogno di Vangelo per riconoscere nel volto di ogni uomo un altro da riconoscere e non un nemico e percorrere le vie del confronto, del dialogo, della reciprocità”.

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