Se uno Stato è senza giustizia

Negli ultimi tempi abbiamo assistito ad una separazione dolorosa della politica e dell’economia dalla morale. Ha prevalso il senso del rancore, senza aver analizzato e capito da dove derivano le cause del malessere. Riferirsi ai diritti, alla dignità di ogni persona, significa ripartire dai principi, che si devono misurare oggi con la globalizzazione e l’impoverimento di interi popoli. Non sono gli estremisti dello slogan o i professionisti dei luoghi comuni a poter risolvere i problemi dei cittadini

Stiamo dibattendo molto sulla situazione politica. Ci disorienta l’imbarbarimento del dibattito, il primato della ricerca del consenso, la perdita di orientamenti etici e della solidarietà. Il necessario confronto con la realtà sta contribuendo a superare le tentazioni propagandistiche. La politica è il luogo in cui si dibatte su bene comune, giustizia e diritti. Nella civiltà democratica la dignità di ogni cittadino e di ogni persona deve essere tutelata. Questa è la base della giustizia. È vero che i disonesti non sono giusti, ma non lo sono soprattutto quelli che non riconoscono i diritti umani.
Benedetto XVI, nella “Deus caritas est” (n. 28), dice: “Uno Stato che non fosse retto secondo giustizia si ridurrebbe ad una grande banda di ladri, come disse una volta Agostino: Remota itaque iustitia quid sunt regna nisi magna latrocinia?”.
Negli ultimi tempi abbiamo assistito ad una separazione dolorosa della politica e dell’economia dalla morale. Ha prevalso il senso del rancore, senza aver analizzato e capito da dove derivano le cause del malessere. Riferirsi ai diritti, alla dignità di ogni persona, significa ripartire dai principi, che si devono misurare oggi con la globalizzazione e l’impoverimento di interi popoli. Non sono gli estremisti dello slogan o i professionisti dei luoghi comuni a poter risolvere i problemi dei cittadini. Quando viene meno la capacità di confronto con argomentazioni rigorose allora la democrazia è in forte crisi. In questo modo, si corre verso un autoritarismo in cui chi è al potere non serve il popolo, ma si serve del popolo. Il nostro lavoro di formatori ci chiede di promuovere una partecipazione politica basata su una crescita interiore, fatta di spiritualità e di riflessione sui valori umani e morali. Sappiamo che ci vuole tempo per questo, che si dovrà andare controcorrente, che si dovranno ricostruire i corpi intermedi contro ogni disintermediazione. Formare è pane per i nostri denti. L’anno prossimo è anno di elezioni comunali ed europee.
Molti ci staranno alle costole, per ingaggiarci nelle loro fila. Daremo le notizie, saremo vigili nel tenere in primo piano i diritti dei deboli e degli esclusi, puntando sulla capacità di governo. Non dobbiamo sostenere misure troppo ingenue e integraliste, né irrigidirci nell’esclusione degli ultimi, solo perché mettono a rischio le nostre ricchezze. Vedere la storia dal punto di vista dei poveri anima la nostra volontà di impegno morale, per una politica realista e orientata alla giustizia. Senza questa, lo Stato non è altro che una banda di ladri, come ci ricorda Benedetto XVI.

(*) direttore “Il Momento” (Forlì-Bertinoro)

Altri articoli in Territori

Territori

Informativa sulla Privacy