A Troia la cittadinanza onoraria a 53 bambini stranieri nati in Italia

“È un dato di fatto che nelle nostre città, anche piccole, ci sia questa presenza cosmopolita”, dice don Matteo Martire, direttore regionale per la Pastorale sociale e del lavoro. “I migranti sono da tempo con noi e si sono integrati pian piano. Penso a quanto è avvenuto con gli albanesi arrivati già nei primi anni '90”. Ciò "avviene in un contesto di mobilità di popoli e bisogna prenderne atto”

Il Consiglio Comunale di Troia, paese di poco più di 7mila abitanti in provincia di Foggia, ha impegnato alcuni giorni fa il Comune a conferire la cittadinanza onoraria a 53 bambini stranieri nati in Italia e residenti nel paese pugliese. La mozione, proposta da un consigliere di minoranza, è stata votata all’unanimità. “Nessuno è straniero nella nostra comunità” ha sottolineato il sindaco di Troia, Leonardo Cavalieri. La decisione “rientra nel solco delle iniziative volte a sollecitare una soluzione normativa nel vuoto legislativo nazionale che non concede oggi la cittadinanza italiana ai bambini nati in Italia, solo perché figli di immigrati”, si legge in un messaggio postato su Facebook dal Comune foggiano. L’esperienza di Troia si inserisce in un più ampio contesto territoriale dove convivono accoglienza e sfruttamento legato al fenomeno del caporalato in agricoltura.
“Si tratta certamente di una iniziativa coraggiosa, in un momento difficile”, commenta padre Ottavio Raimondo, membro della comunità comboniana di Troia: “Con il fatto che la mozione sia stata approvata all’unanimità – continua – è stato superato, con questa apertura al diverso, il livello ideologico e partitico. Forse

il nuovo nasce dal basso, dal debole, dal povero;

è questo il luogo dell’incontro”.
“La comunità di persone straniere a Troia è costituita da macedoni, ucraini, africani e rumeni, questi ultimi i più numerosi”, aggiunge Giuseppe Pagliuso, laico comboniano, originario di Troia. “La nostra comunità ha sempre avuto una finestra aperta sul mondo. L’integrazione non è stata mai ‘pensata’ ma naturale”, continua. La storia di Troia “è fatta di gente che ha sempre accolto persone provenienti da altre zone d’Italia e altri Paesi del mondo. Per noi gli altri sono membri della comunità”, prosegue. Da quando sono arrivate persone straniere “l’integrazione è avvenuta in maniera naturale anche nel mondo del lavoro”. La stragrande maggioranza “è occupata in lavori di campagna o edili, oppure nelle piccole aziende che sono sorte negli ultimi 20-30 anni. Questo contribuisce a rendere più facile l’integrazione”. Poi, nella comunità di stranieri hanno cominciato a nascere i bambini, e a Troia “si è deciso di andare in controtendenza”. “I padri comboniani dal 1927 sono qui a Troia. La loro presenza ha contribuito tantissimo a spalancare l’orizzonte al mondo intero”, continua. La proposta della cittadinanza onoraria, che “è stata avanzata da un consigliere che ha una sorella missionaria comboniana, è stata sposata da tutto il Consiglio Comunale”, conclude Pagliuso.

“È un dato di fatto che nelle nostre città, anche piccole, ci sia questa presenza cosmopolita”,

dice don Matteo Martire, direttore regionale per la Pastorale sociale e del lavoro. “I migranti sono da tempo con noi e si sono integrati pian piano. Penso a quanto è avvenuto con gli albanesi arrivati già nei primi anni ’90”. Ciò “avviene in un contesto di mobilità di popoli e bisogna prenderne atto”. A fronte di questo, “c’è un vuoto legislativo”; in questo contesto, “l’esperienza di Troia è un segnale di speranza. Tocca a chi legifera dare risposte, se ci saranno”. Nella accoglienza, le comunità civile ed ecclesiastica possono essere alleate. “Questa collaborazione già esiste. Pensiamo alla Caritas, che svolge un servizio di sussidiarietà, e al tanto volontariato fatto in sintonia con i Comuni”.

Altri Comuni sono meno solleciti, ma “non dobbiamo farci prendere dallo spauracchio della persona straniera come nemico da abbattere; c’è il volto di Dio in ogni fratello”.

Tanti si integrano e “rispettano le nostre leggi”.

In questo contesto, “la Chiesa educa alla accoglienza nella legalità”. Per quanto riguarda la situazione pugliese, “alle Settimane Sociali di Cagliari abbiamo portato sia la denuncia che le buone prassi”. Nel primo ambito, “rientra il caporalato – poiché ci sono aziende che sfruttano gli immigrati -, che è presente in alcune zone della Puglia”. Ci sono anche le buone prassi: tra queste rientrano le “tante aziende agricole che pur agendo nella legalità non trovano personale del posto e perciò assumono personale straniero, perché tanti nostri connazionali ritengono il lavoro agricolo pesante e difficile”. E poi ci sono le “esperienze ammirevoli di cooperative nate all’interno del Progetto Policoro che operano sui terreni sottratti alla mafia”. C’è, insomma, “una situazione contradditoria, fatta di problematiche e segni di speranza. Quello di Troia è un segno di speranza”, conclude Martire.

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