Caso Lucano, il grano e la zizzania

Sarà il processo a stabilire se Lucano è un criminale o meno, se ha sbagliato e infranto la legge è giusto che venga condannato. Ciò che è certo, perché documentato dalle carte processuali, è che Lucano non ha rubato, non si è arricchito: nel caso di Riace non possiamo parlare di “business dell’accoglienza”. L’arresto del sindaco non adombra, neanche in parte, tutto lo sforzo e l’opera compiuta dalla cittadina della locride nei confronti degli immigrati. Riace deve continuare ad accogliere, così come l’Italia deve continuare ad accogliere

La vicenda degli arresti del sindaco di Riace, Mimmo Lucano, ha sollevato un gran polverone mediatico. Sono state proposte tantissime letture e riletture di opinionisti e politici, molti dei quali non hanno mai messo piede a Riace e non hanno mai contribuito alla causa di Lucano e dei tanti Lucano d’Italia.
Nel grande vortice di parole e immagini di questi giorni, è opportuno salvaguardarsi dagli eccessi. Stupisce, infatti, che le vicende giudiziarie di Lucano si stiano consumando “in diretta”, con uomini dello stato e della magistratura direttamente coinvolti, che rilasciano interviste e dichiarazioni sul caso, come se l’indagine “Xenia” fosse una puntata del Grande fratello. Altrettanto inopportune appaiono le pesanti e faziose strumentalizzazioni politiche, che sentenziano (prima ancora che il processo inizi) che Lucano è un “manager dell’accoglienza” oppure un martire, vittima di leggi impietose che gli hanno impedito di accogliere come avrebbe dovuto.
Sarà il processo a stabilire se Lucano è un criminale o meno, se ha sbagliato e infranto la legge è giusto che venga condannato. Ciò che è certo, perché documentato dalle carte processuali, è che Lucano non ha rubato, non si è arricchito: nel caso di Riace non possiamo parlare di “business dell’accoglienza”. Il sindaco Mimmo Lucano non è il Carminati di Riace.
Volendo entrare nel merito di questa pagina di cronaca – che tocca nel vivo alcuni nervi sensibili dell’attuale dibattito politico, sociale ed ecclesiale – non possiamo esimerci da due valutazioni fondamentali che non sono ascrivibili al caso Lucano (per il quale, lo ripeteremo fino alla nausea, attenderemo le dovute sentenze prima di esprimere giudizi), ma hanno carattere di generalità.
Per affrontare la prima valutazione ci affidiamo a una frase cara a don Italo Calabrò: “Il bene va fatto bene”. L’emergenza, per quanto solidale, non può derogare la legge, salvo i casi previsti dalla legge stessa. Se una legge è inadeguata esistono i mezzi democratici per cambiarla, dalla protesta alla proposta. Ma infrangerla per ottenere uno scopo – per quanto nobile esso possa essere – non è giustificabile, né legale. La frase abusata in questi giorni da molti opinionisti, “Il fine giustifica i mezzi”, è anacronistica, antistorica e irrispettosa di ogni uomo: esistono i mezzi giusti e legali per ottenere qualsiasi fine, purché questo non violi l’ordinamento giuridico. Perciò non è un modello di “disobbedienza civica” chi infrange la legge per accogliere i migranti, e neanche chi – l’esatto opposto – forza la legge per non accogliere i migranti, come per la Diciotti.
La seconda valutazione è legata al meccanismo innescatosi in certi ambienti dopo la vicenda Lucano: la generalizzazione. L’arresto del sindaco non adombra, neanche in parte, tutto lo sforzo e l’opera compiuta dalla cittadina della locride nei confronti degli immigrati. Riace deve continuare ad accogliere, così come l’Italia deve continuare ad accogliere. È nel suo Dna, nella sua storia. L’equazione «chi accoglie i migranti mangia un sacco di soldi» è priva di fondamento, è un’offesa a tutti coloro che quotidianamente compiono la grande fatica dell’accoglienza e dell’integrazione.
Se è stata o sarà trovata della zizzania nel campo dell’accoglienza, questo non implica che tutto il grano sia stato compromesso. La magistratura aiuta a distinguere il grano dalla zizzania, ma chi spara nel mucchio, senza distinguere opportunamente, è al limite della follia e gioca, senza dubbio, a favore della zizzania.

(*) direttore “L’Avvenire di Calabria” (Reggio Calabria-Bova)

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