Alla casa circondariale “Ettore Scalas” di Cagliari-Uta ci sono 36 orti per i detenuti

Il progetto, nato nell’ambito di due club Rotary di Cagliari (Sud e Nord), in collaborazione con l’amministrazione carceraria ed il Tribunale cagliaritano, prevede che i 36 orticelli, che si trovano all’interno dell’area carceraria vera e propria, potranno essere coltivati anche da chi ancora non ha ottenuto provvedimenti di mitigazione della pena o l’inserimento a pene alternative

Dove c’era un campo pietroso ed abbandonato, pieno di rifiuti e materiale di scarto, all’interno della cinta muraria della casa circondariale “Ettore Scalas” di Cagliari-Uta, oggi ci sono 36 orti di circa 100 mq l’uno. L’inaugurazione degli orti, il 19 luglio, è stata l’occasione per scoprire che, quando c’è un progetto e la collaborazione tra diverse istituzioni ed associazioni, si realizza non solo il dettato costituzionale per il quale “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”; ma anche, attraverso l’attività delle associazioni di volontariato e di carità, l’opera di misericordia del “visitare i carcerati”.

Il progetto, nato nell’ambito di due club Rotary di Cagliari (Sud e Nord), in collaborazione con l’amministrazione carceraria ed il Tribunale cagliaritano, prevede che i 36 orticelli, che si trovano all’interno dell’area carceraria vera e propria, potranno essere coltivati anche da chi ancora non ha ottenuto provvedimenti di mitigazione della pena o l’inserimento a pene alternative. Per il direttore del carcere, Marco Porcu, è stata “una giornata di gioia e con il recupero di un’area inutilizzata il carcere riprende vita”.

La collaborazione tra amministrazione penitenziaria, tribunale, i Rotary Club, le associazioni, tra le quali la Caritas dell’arcidiocesi di Cagliari e di volontariato carcerario, ha permesso, secondo il direttore, che “la cittadinanza di Cagliari si riappropriasse del suo legame storico con l’istituzione carceraria dopo l’abbandono dell’antico carcere di Buoncammino nel centro della città”.

Nel nuovo carcere di Uta è forte la presenza di detenuti che provengono dal circondario cagliaritano, ma è molto elevata anche la presenza di extracomunitari e c’è una sezione femminile dove scontano la pena diverse detenute con i figli: “gli orti debbono diventare presto un luogo di lavoro, partecipazione e riscatto”, è la speranza di Porcu.

Stefano Zedda, presidente del Rotary Club Cagliari Sud, ha evidenziato che l’intervento sul campo con la realizzazione completa del progetto è stata esclusiva opera dei detenuti: e in questo senso il progettista degli orti, l’agronomo Giacomo Oppia, ha raccontato di un “progetto in divenire, che si basa sul lavoro, sulla riflessione ed il riscatto: gli orti urbani sono usati dappertutto, nelle città, nelle periferie urbane, ma spesso si tratta di uno sfizio. Qui invece c’è la formazione degli uomini, il recupero, la fiducia per il futuro”. Il sogno degli orti del carcere di Uta ha avuto una genesi particolare: “una idea con un taglio diverso – sottolinea Oppia -, scartare la tecnologia per una impronta più umana, storica, facendo le canalette con la zappa”. Oggi esiste l’irrigazione a goccia, che solitamente è gestita con sistemi computerizzati, mentre “qui sarà chi lavorerà gli orti a gestire l’irrigazione attivando a mano i sistemi a goccia”.

Per l’agronomo è stato fondamentale “il lavoro straordinario fatto dai detenuti: nel campo che era un deposito incolto di materiali vari, che sono stati eliminati, e dal terreno pietroso dal quale sono stati tolti 450 metri cubi di pietre anche di grosse dimensioni, poi utilizzate per la realizzazione della strada centrale che permette di raggiungere gli orti”. Per Oppia

“lavorare coi ragazzi è stato indimenticabile e questi orti debbono rappresentare una sfida”.

La sfida è stata vinta, ed ora le piantine di pomodori, cipolle, melanzane e diversi tipi di lattuga sono state piantate e hanno trovato dimora nei primi orti che saranno lavorati. In attesa dei raccolti e della completa presa in carico degli orti da parte dei detenuti, si studieranno anche ipotesi di commercializzazione degli eventuali prodotti che verranno ottenuti, anche rifacendosi alla tradizione ed esperienza di Mamone, Isili ed Is Arenas, le vecchie colonie penali agricole della Sardegna ancora attive.

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