Don Luigi Di Liegro, a 20 anni dalla morte. Padre Barlone: “Un precursore nel cercare soluzioni ai problemi che oggi viviamo”

Il presidente della Fondazione internazionale don Luigi Di Liegro ricorda il fondatore della Caritas di Roma di cui ricorre il 20° anniversario della morte. “È vero, si è impegnato a risolvere i problemi sociali e ha fondato la Caritas a Roma. Ma il nucleo del suo impegno stava nel sacerdozio”

(Foto: Siciliani-Gennari/SIR)

“È stato un precursore nel cercare soluzioni ai problemi che oggi viviamo, dalla povertà alle migrazioni”. Padre Sandro Barlone, presidente della Fondazione internazionale don Luigi Di Liegro, ricorda così il fondatore della Caritas di Roma di cui ricorre oggi, giovedì 12 ottobre, il 20° anniversario della morte. Lo fa richiamando alla memoria quelle occasioni in cui “ha cercato di sanare le divisioni tra le persone”, come quando i vicini si opposero all’accoglienza a Villa Glori di chi aveva contratto l’Aids o quando in molti si ribellarono alla sua decisione di accogliere i migranti nell’ex pastificio Pantanella. “È stato un sacerdote che ha fermamente creduto nell’incarnazione del Verbo di Dio e l’ha concretizzata nella sua azione nel sociale, dove si ponevano le fragilità più evidenti della società”, sottolinea padre Barlone. Oggi si ricorderà Di Liegro con un momento di preghiera. Alle 18.30, il vicario del Papa per la diocesi di Roma, mons. Angelo De Donatis, celebrerà una Messa nella basilica dei Santi XII Apostoli.

Padre Barlone, qual è stata l’intuizione più importante di don Luigi Di Liegro?
Cercava di ricomporre le distanze e le contrapposizioni tra le persone rivolgendo attenzione alla presenza dell’altro. La sentiva come una missione che derivava dal suo sacerdozio. Il rischio è quello di sottolineare sempre e solo la sua azione sociale. È vero, si è impegnato a risolvere i problemi sociali e ha fondato la Caritas a Roma. Ma il nucleo del suo impegno stava nel sacerdozio.

Dopo la fondazione della Caritas che cosa è successo?
Ha precorso le soluzioni ai problemi che noi viviamo oggi. Si è impegnato concretamente nell’accoglienza dei migranti. Don Luigi aveva intuito anche le conseguenze di politiche sociali ed economiche molto più ampie di quelle nazionali. L’ex pastificio Pantanella era disabitato. Non si svolgeva lì alcuna attività. Aiutò gli immigrati a trovare rifugio in quello spazio, ma ciò non venne né compreso né accettato. Anzi, questo suo impegno divenne terreno di scontro e fu realizzato uno sgombero dalle forze dell’ordine.

Aveva già intuito che i ghetti sono polveriere pronte a esplodere, noi oggi siamo caduti in questo errore, non solo in Italia ma anche in Europa. Aveva visto già allora più lontano di noi.

Per quanto riguarda l’aiuto ai più poveri, l’ostello alla stazione Termini fu uno dei luoghi in cui si sperimentò la prima assistenza, realizzata facendo fronte ai bisogni fondamentali. Un impegno che oggi continua attraverso la Caritas.

Che cosa la affascina di più della sua opera?
Ospitò un padre della Gregoriana in difficoltà a casa sua. A Villa Glori, ai Parioli, ospitò persone che avevano contratto l’Aids per dare loro un’attenzione umana che sembrava negata. C’era una stigmatizzazione sociale nei loro confronti e questo si notò nella reazione del quartiere.

Di Liegro dimostrava l’importanza dell’accoglienza e della misericordia, non della condanna.

Ci fu una sollevazione da parte di molti in quella zona, perché l’ammalato di Aids era considerato un portatore di contagio. Non si capiva la carica di azione sociale e caritativa che don Luigi realizzava.

Dovette scontrarsi anche con i cristiani che separavano il credo dalla vita e non si accorgevano che la dottrina che non si mette in pratica nel luogo in cui scorre la vita resta un orpello archeologico.

Come si è impegnata la vostra Fondazione a continuare l’impegno di don Di Liegro?
Avremmo potuto sceglie vari ambiti, ma col rischio di non poterli coprire tutti. Quindi,

ci siamo concentrati sul disagio psichico e sull’aiuto alle famiglie.

Ci siamo impegnati nella sensibilizzazione a questo genere di problemi e nella formazione dei volontari che portino sostegno alle famiglie. Nella nostra sede, in via Ostiense, ci occupiamo della formazione e offriamo ascolto ai familiari delle persone con disagio psichico. Mettiamo in atto anche una piccola terapia. Nei laboratori queste persone vengono stimolate alla pittura, alla danza e in altre attività. A fine anno realizziamo con loro una presentazione di ciò che è stato realizzato.

Cos’è cambiato in questi vent’anni?
Da una parte, è cresciuta la partecipazione a livello ecclesiale e l’assunzione delle responsabilità da parte dei fedeli laici in prima persona. Dall’altra parte, noto con dolore che possono crescere delle incomprensioni di una percezione del sacro separato dalla realtà o dalla vita.

Come ricorderete oggi don Di Liegro?
Si pregherà. Abbiamo voluto riunire le persone che gli sono state vicine. Pregare assieme non è solo un momento di ricordo, ma vuole essere un modo per assumere un impegno prospettico. Alla Messa, presieduta dall’arcivescovo De Donatis, abbiamo invitato anche i parroci della diocesi di Roma a concelebrare.

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