Non si può dare per carità…

È la giustizia la prima forma di carità, come indica benissimo la Società di San Vincenzo, gente che se ne intende di cosa significa stare accanto agli ultimi e ai bisognosi. In prima linea con loro, come persone e non come destinatari di una nostra opera di carità. Quella carità che non avrebbe bisogno di esistere se esistesse maggiore giustizia

“Non si può dare per carità ciò che è dovuto per giustizia”. È una frase che ripeteva spesso don Oreste Benzi, fondatore della Papa Giovanni XXIII. La diceva in tutti i contesti possibili. Non aveva alcun timore. Lo chiamavano a parlare, ma non per questo faceva sconti a qualcuno.

Inutile farsi belli per un gesto di carità. Prima di tutto siamo chiamati a operare per la giustizia e l’equità.

La frase di apertura è attribuita a san Vincenzo De Paoli. Nel sito della Federazione nazionale dell’omonima Società che si ispira al santo, ho trovato questo altro loro enunciato: “Nella convinzione che soddisfare le esigenze della giustizia è la prima forma di carità, la San Vincenzo si impegna in diversi modi a far valere i diritti dei poveri e alla costruzione di uno stato sociale capace di prevenire le cause del disagio”.

Qualcuno si chiederà i motivi di questo intervento. Si fa un gran parlare di povertà e di poveri. Di emarginati e di espulsi dalla società. Si parla e si discute di ultimi, di profughi, di ius soli, di senza fissa dimora. Si organizzano convegni, si chiamano esperti. Ci si confronta, si dibatte, si aprono tavoli di lavoro per comprendere i fenomeni in atto. Insomma, c’è un gran fermento su un tema che pare interessare tanti.

Abbiamo il dovere della carità. Di un gesto di buona volontà. Di una mano che va in tasca, di una solidarietà più diffusa. Basta tutto questo?, mi domando spesso. È sufficiente? È questo realmente che ci viene chiesto? È giusto adoperarsi per affrontare le emergenze del momento se non si pagano i propri dipendenti come la legge richiede? Appartiene alla giustizia evadere o eludere le tasse, cercare di aggirare il fisco in ogni modo possibile e poi magari essere in prima linea per un’opera di beneficenza?

Sono domande che mi pongo di frequente. Me le sono poste anche la scorsa settimana dopo aver partecipato a un talk show su Teleromagna a proposito di povertà e urgenze da fronteggiare. Abbiamo fatto un gran parlare. È stato anche interessante scoprire realtà che si prodigano per chi non riesce più a bastare a se stesso.

Penso, tuttavia, che la vera questione in questo nostro strano Paese risieda più a monte, in una ridistribuzione impossibile delle risorse da parte dello Stato, in un preduto senso di una comune appartenenza. Ritorno da dove sono partito: non si può dare per carità ciò che è dovuto per giustizia. Lo dico prima di tutto a me stesso. È la giustizia la prima forma di carità, come indica benissimo la Società di San Vincenzo, gente che se ne intende di cosa significa stare accanto agli ultimi e ai bisognosi. In prima linea con loro, come persone e non come destinatari di una nostra opera di carità. Quella carità che non avrebbe bisogno di esistere se esistesse maggiore giustizia.

(*) direttore “Corriere Cesenate” (Cesena-Sarsina)

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