Capaci e Via D’Amelio, 25 anni dopo: dalla primavera all’inverno

Falcone e Borsellino diventarono, con il loro lucido sacrificio, un inizio di qualcosa di nuovo. Ma, all’inizio del nuovo millennio l’incantesimo era già finito. Malgrado la buona amministrazione, i miracoli (impossibili) non erano arrivati. E altri si facevano avanti con il vecchio armamentario del voto di scambio e del clientelismo. Così, dopo la primavera e l’estate a Palermo abbiamo avuto l’inverno, in cui il ricordo del martirio “laico” di Falcone e di Borsellino si è sempre più affievolito. Da quest’inverno la città non si è ancora del tutto ripresa

NON USARE

Fu, nella sua tragicità, un momento forse unico, nella storia di Palermo: studenti, manovali, professionisti, uomini e donne di ogni età, scesero tutti insieme nelle strade, in questi giorni, per gridare il loro dolore e la loro volontà di cambiamento.

Falcone e Borsellino diventarono, con il loro lucido sacrificio, un inizio di qualcosa di nuovo.

Che sembrò avviarsi effettivamente negli anni successivi, quando il sindaco Orlando – che pure aveva avuto pesanti scontri, in passato, con Falcone – sembrò in grado di dare al capoluogo della Sicilia una nuova immagine, facendola diventare, da triste simbolo della mafia, laboratorio di partecipazione civile, sulla linea della Scuola di formazione politica Pedro Arrupe.

Poi sono via via sempre più chiaramente affiorati i limiti di quella stagione primaverile: limiti personali – prima di tutti, forse, l’incapacità di Orlando stesso di passare da uno stile di eccessivo protagonismo a quello di “maestro” di una nuove classe politica -; ma anche e soprattutto limiti oggettivi di una città, Palermo, che in realtà è una “città di città”, dove le borgate di periferia, che costituiscono il 90% del tessuto urbano, non si ispirano certo ai criteri di cittadinanza della minoranza che abita i quartieri residenziali.
La figura di Orlando era stata per un momento capace di catalizzare l’entusiasmo anche di queste periferie (“lo venerano come santa Rosalia, sicuri che farà miracoli”, commentava scherzando un osservatore). Ma, all’inizio del nuovo millennio l’incantesimo era già finito. Malgrado la buona amministrazione, i miracoli (impossibili) non erano arrivati. E altri si facevano avanti con il vecchio armamentario del voto di scambio e del clientelismo. Così, dopo la primavera e l’estate a Palermo abbiamo avuto l’inverno, in cui il ricordo del martirio “laico” di Falcone e di Borsellino si è sempre più affievolito.

Da quest’inverno la città non si è ancora del tutto ripresa.

Non sono mancati i segni di speranza. Le forze dell’ordine e la magistratura hanno lavorato sodo per spezzare le maglie della rete mafiosa, cogliendo significativi successi. In campo sociale, la grande profezia di Biagio Conte ha sfidato l’indifferenza della città per riuscire a dare un tetto e un pasto a centinaia di emarginati. Nell’ambito civile, la sfida di “Addiopizzo”, nata, quasi per scommessa, da un pugno di ragazzi, ha consentito per la prima volta a imprenditori e commercianti di ribellarsi al clima di paura nei confronti della criminalità organizzata e di ritrovare la propria dignità. Nella sfera ecclesiale la denunzia dell’incompatibilità tra l’essere cristiani e l’essere mafiosi è finalmente diventata stile abituale, invece che evento da prima pagina, come ai tempi del cardinale Pappalardo.

Eppure l’inverno non è ancora passato. Contribuisce fortemente il degrado economico. Per ridurre le tasse, i governi hanno tagliato drasticamente i fondi pubblici destinati ai comuni. Città inserite in un fiorente tessuto economico, al centro-nord e al nord, hanno potuto in parte compensare questo minore afflusso di denaro facendo affidamento sui privati. Per quelle del sud, già penalizzate dal “vento del nord” leghista e il cui unico sostegno era lo Stato, l’effetto è stato devastante. Asili nido e case famiglia chiusi, opere sociali bloccate, sostegno pubblico all’occupazione pressoché impossibile.

Analogo discorso va fatto per l’Università. L’Italia, a differenza di molti Paesi europei, ha reagito alla grande depressione economica riducendo sensibilmente le spese per la ricerca. Ma non lo ha fatto in modo omogeneo. A essere penalizzate fortemente sono state le Università del Sud. Con una ulteriore riduzione delle già deboli possibilità di inserimento dei giovani migliori nella vita accademica.

Così Palermo, con la disoccupazione giovanile che è passata dal 65% del 2015 al 71,2% del 2016, ha visto e continua vedere i suoi giovani diplomati e laureati – la parte più qualificata delle nuove generazioni – costretti in gran parte a fuggire per cercare un lavoro. Una emorragia che vanifica le spese sostenute per formare questi ragazzi e che condanna la città, come del resto le altre del Meridione, a una prospettiva futura di progressiva recessione umana, oltre che produttiva.

Non c’è da stupirsi se la reazione della gente è un disincanto che, alle ultime elezioni regionali, ha portato più del 52% dei siciliani a non andare neppure a votare. È su questo che bisogna lavorare, soprattutto con i giovani.

Educare alla speranza e suscitare partecipazione civile.

È solo dalla cittadinanza attiva che può nascere un rinnovamento politico. In questo la Chiesa può fare molto, grazie al patrimonio del suo insegnamento sociale e la sua rete capillare estesa sul territorio. Magari con la collaborazione concreta di una classe governante che non si limiti alle dichiarazioni retoriche, ma ripensi alla radice la questione meridionale.

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