Migranti: vescovi liguri, “segno di Dio che parla alla Chiesa”

Nel documento sui profughi la Conferenza episcopale ligure offre una lettura del fenomeno, analizzando le cause, chiedendo una legislazione italiana ed europea che punti all'integrazione e invitando i credenti a "farsi missionari" nell'accogliere le genti a casa nostra

Parla del “dovere dell’accoglienza e della carità concreta” il documento della Conferenza episcopale ligure (Cel) sui profughi,

“Migranti, segno di Dio che parla alla Chiesa”.

Firmato dagli otto vescovi delle diocesi della Liguria, sette ordinari più un ausiliare (card. Angelo Bagnasco, mons. Alberto Tanasini, mons. Luigi Ernesto Palletti, mons. Guglielmo Borghetti, mons. Antonio Suetta, mons. Vittorio Francesco Viola, mons. Calogero Marino, mons. Nicolò Anselmi), il testo “vuole offrire alle comunità cristiane una riflessione che ci aiuti a leggere le migrazioni come un segno di Dio che parla alla Chiesa, non dimenticando le cause del fenomeno”. Già nel 2015 i vescovi della Liguria, terra di confine – in particolare a Ventimiglia, dove è forte l’emergenza migranti – con un messaggio si erano fatti interpreti della situazione drammatica di tanti profughi.

“Troppo spesso il tema dei profughi e dei loro Paesi di origine viene trattato superficialmente, sulla base di pregiudizi”, denunciano i vescovi liguri, sottolineando che “il Sud del mondo vive gravissimi problemi che sono la conseguenza di politiche economiche e di strategie geopolitiche che altro non sono che giochi di potere, pagati a caro prezzo soprattutto dai poveri”. In realtà, “l’arrivo dei richiedenti asilo nei nostri paesi solleva non solo problemi di ordine sociale ed economico, ma anche ecclesiale, perché fa emergere la profonda difficoltà delle nostre comunità ad essere evangelizzatrici verso queste persone, anche solo nella modalità dell’accoglienza. Persino il rapporto con gli immigrati cristiani spesso risulta estremamente faticoso”. Di qui la necessità di una

“rielaborazione di una missionarietà efficace”,

perché “il fenomeno delle migrazioni ci chiede di essere missionari nell’accogliere le genti a casa nostra”.

Il primo passo verso l’accoglienza, suggeriscono i presuli liguri, è cercare di comprendere “le ragioni che spingono enormi masse di persone ad abbandonare il proprio Paese”, dalla mancanza di prospettive al degrado ambientale e al terrorismo, dalle guerre alla violazione dei diritti umani. Di fronte a questi drammi, i vescovi liguri suggeriscono “l’inserimento dei rifugiati nei nostri paesi, come vere risorse umane e culturali”, il superamento della “distinzione di trattamento tra profughi politici e profughi economici” e dell’“attuale legislazione che trasforma circa la metà dei migranti arrivati in ‘clandestini’”, una “legislazione che sancisca il diritto di cittadinanza a quanti hanno portato a compimento un verificabile percorso di integrazione”. “Occorre ripensare a fondo la legislazione europea e italiana sull’accoglienza dei richiedenti asilo perché abbia come reale obiettivo quello dell’integrazione”, ammoniscono i presuli.

Nell’ultimo paragrafo del documento i vescovi chiedono “di comprendere che la migrazione coinvolge la vita di tutti, ci ‘tocca’ tutti in eguale maniera, riguarda l’uomo al di là della provenienza, della religione, della condizione sociale, delle convinzioni politiche”. L’obiettivo non è “solo risolvere il problema contingente dell’accoglienza ma è la costruzione di una società più giusta e accogliente”. Non solo: “Si tratta di saper cogliere dentro il fenomeno delle migrazioni segni di realtà divine, vale a dire il dispiegarsi nella storia del disegno di Dio sull’umanità”. “La nostra fede in Dio”, ricordano i presuli, “ci chiede di cercare soluzioni”, come pure “una corretta attenzione al dialogo interreligioso e al dialogo ecumenico”. E ancora: “Il fenomeno delle migrazioni sollecita le nostre diocesi a un profondo ripensamento delle modalità con cui offriamo la proposta evangelica”: “Ora che l’annuncio ad gentes non è più solo ai confini della terra, ma è entrato prepotentemente nella nostra vita sociale, le comunità cristiane devono usare parole e porre gesti capaci di dire il Vangelo anche agli stessi migranti che vengono da una formazione cristiana”.

Secondo la Conferenza episcopale ligure, “il fenomeno delle migrazioni forzate domanda un rinnovamento del linguaggio e della prassi dell’evangelizzazione a cui, come Chiesa, non possiamo sottrarci”. Il primo passo da cui partire è “un profondo cambio di prospettiva: fino ad ora la missio ad gentes ha prevalentemente favorito l’atteggiamento di chi è chiamato a portare ad altri il Vangelo, la cultura, gli aiuti. Ora il mondo, le culture, le religioni interpellano le nostre Chiese”. Occorre anzitutto “ascoltare: i profughi sono portatori di culture altre, di stili di vita differenti, di sensibilità alternative alle nostre e, quando cristiani, di un patrimonio di esperienza di fede e vita ecclesiale da cui abbiamo molto da imparare, soprattutto in un contesto così secolarizzato come il nostro”. “Dobbiamo continuare a sostenere la scelta di misurarsi, in modo compromettente, nell’accoglienza dei richiedenti asilo come degli altri immigrati, come già abbiamo fatto. Vogliamo vivere un’attenta dinamica evangelica che sappia leggere a fondo i ‘segni dei tempi’ dando adeguate risposte e sollecitare un profondo ripensamento del modo di fare cultura all’interno della Chiesa. Scegliere di accogliere e farlo nel modo opportuno – concludono i vescovi – non è solo un’urgenza morale, ma cambia la prospettiva del nostro modo di pensarci come Chiesa.

Come cristiani siamo chiamati a un radicale atteggiamento di disponibilità all’accoglienza”.

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