Piano inclinato

C'è una grande confusione nell’opinione pubblica in merito alla legge sul fine vita che deve essere approvata in Parlamento: legge che non prevede né l’eutanasia, né il suicidio assistito. In questi giorni, i giornali scrivono di poche persone che chiedono di concludere una propria vita di sofferenza, tacendo di moltissime altre che invece hanno il coraggio di portarla avanti. Diversamente da quanto si propaganda, gli operatori del settore (anestesisti o medici) affermano che nessuno malato chiede loro di morire, ma semmai di continuare a vivere

Grande rispetto e dolore per il giovane dj Fabo che ha voluto chiudere la vita in una clinica Svizzera, ma un fermo no alla strumentalizzazione politica e ideologica che se n’è fatta. Ne viene infatti una grande confusione nell’opinione pubblica in merito alla legge sul fine vita che deve essere approvata in Parlamento: legge che non prevede né l’eutanasia, né il suicidio assistito. I giornali scrivono di poche persone che chiedono di concludere una propria vita di sofferenza, tacendo di moltissime altre che invece hanno il coraggio di portarla avanti. Diversamente da quanto si propaganda, gli operatori del settore (anestesisti o medici) affermano che nessuno malato chiede loro di morire, ma semmai di continuare a vivere.
Certo, la sofferenza è un mistero insondabile, il problema sollevato merita attenzione e riflessione. Qui voglio toccarne un aspetto: il grande rischio che potrebbe costituire una legislazione che permetta l’eutanasia e il suicidio assistito. E prendo le parole del card. Willem Jacobus Eijk, arcivescovo di Utrecht, che si riferisce all’esperienza dei Paesi Bassi, prima nazione al mondo a legalizzare l’eutanasia (nel 2002). In un articolo, che titola “Il piano inclinato”, scrive: “Quando si lascia una porta socchiusa la si può facilmente aprire di più. Una volta che si permette d’interrompere la vita per un certo tipo di sofferenza, perché non lo si dovrebbe permettere per sofferenze che sono solo leggermente minori? È fondamentalmente il paziente che deve stabilire se la sofferenza è insopportabile. Il carattere soggettivo di questo criterio comporta il rischio che uno arrivi rapidamente a considerare la sofferenza insopportabile”.
E il cardinale elenca tutti i passaggi avvenuti in Olanda, da quando (anni ’80) si discuteva di permettere l’interruzione della vita solo su esplicita richiesta di pazienti in fase terminale di una malattia incurabile; a quando le possibilità sono state estese alle patologie non fisiche o psichiatriche, poi ai pazienti con demenza avanzata che in precedenza hanno scritto una dichiarazione di eutanasia; a quando (nel 2006) un regolamento legale è stato introdotto per gli atti che pongono fine alla vita nel caso di neonati portatori di handicap. E non è finita.
La stessa cosa è successa da noi con la Legge 194 sull’aborto: all’art. 1 scrive che “lo Stato tutela la vita umana dal suo inizio” e ad oggi contiamo più di sei milioni di aborti: una bella tutela!
Il cardinale-medico olandese punta sulle cure palliative che “non aggiungono giorni alla vita, ma la vita ai giorni.” E qui l’Italia è proprio all’avanguardia.

(*) direttore “Il Nuovo Torrazzo” (Crema)

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