Il Papa a Castelverde. Don Rondinelli (parroco): “si sente a casa”

Domenica 19 febbraio Papa Francesco visiterà la sua tredicesima parrocchia romana: Santa Maria Josefa del Cuore di Gesù a Castelverde di Lunghezza. Parla il parroco, don Francesco Rondinelli. Il 12 marzo, il Papa sarà in visita pastorale presso la parrocchia di Santa Maddalena di Canosa, Borgata Ottavia.

Roma, 13 febbraio: parrocchia Santa Maria Josefa del Cuore di Gesù a Castelverde di Lunghezza. (Siciliani-Gennari/SIR)

“Già la sua venuta tra noi è una grande grazia, anche se non dirà una parola. Per noi è già un regalo poter stare a contatto con lui”. Don Francesco Rondinelli, 40 anni il prossimo anno, descrive così il clima di attesa per la visita del Papa, domenica 19 febbraio. Non vuole sbilanciarsi sulle previsioni, vuole semplicemente godersi questo momento. Sa che in questi giorni è sotto i riflettori, e sceglie di non farsi abbagliare dalla luce. “Non so cosa dirò al Papa”, ci confessa: “Lui è sempre spontaneo, anche io farò così”. Per Papa Francesco, Santa Maria Josefa del Cuore di Gesù a Castelverde di Lunghezza sarà la tredicesima “tappa parrocchiale” nella sua diocesi. La quattordicesima, il 12 marzo, sarà presso la parrocchia di Santa Maddalena di Canosa, Borgata Ottavia.

Tre mesi possono sembrare pochi per entrare nel cuore dei parrocchiani e conoscere la nuova comunità di cui si è chiamati ad essere “padri”. Eppure a don Francesco sono bastati per “sentirsi a casa”: “Vengo dalla periferia”, spiega ricordando le sue precedenti destinazioni, a Ostia e alla Bufalotta. Quando lo sentiamo, il parroco (da tre mesi, appunto) di Santa Maria Josefa è gioiosamente sopraffatto dai preparativi per l’ospite più importante che il 19 febbraio sarà il “padrone di casa”. “Lui qui si sente a casa”, azzarda don Francesco sicuro che la scelta di un’altra parrocchia “decentrata”, da parte del vescovo di Roma, non sia mai casuale ma frutto di una visione di Chiesa ben precisa.

Per arrivare a via Marcello Candia, il Papa il 19 febbraio dovrà percorrere più di 20 chilometri. “Per andare in Vaticano, quando non c’è traffico, io ci impiego un’ora”, racconta don Francesco. Con i mezzi pubblici, non ci ha mai provato. Il problema dei trasporti, piaga ormai cronicizzata e sempre suscettibile di quotidiani aggravamenti in tutta la città, si amplifica a dismisura in questa frazione di Roma Capitale che sorge al di fuori del Grande raccordo anulare fra la via Prenestina a sud e la via di Lunghezza (via Collatina) a nord.
Quando chiediamo “cosa manca” nel quartiere nato negli anni Cinquanta grazie a un gruppo di marchigiani, don Francesco ci pensa su e poi risponde una cosa sola: più mezzi pubblici per sentirsi meno isolati dal “cuore” cittadino. Sembra quasi sorpreso dalla domanda,

“qui c’è tanto”, assicura.

Pensa ai suoi parrocchiani, alla loro “generosità di gente semplice”: “Quando ho chiesto loro un aiuto per preparare al meglio l’accoglienza del Papa, sono stato quasi preso d’assalto dai tantissimi volontari che si sono offerti di aiutarmi”. Mentre parliamo alcuni di loro stanno ancora verniciando le pareti.

“Lavoratori”: così il parroco definisce gli abitanti della parrocchia, “operai e impiegati, certo qui non ci sono avvocati, manager o imprenditori”. Qualcuno ha anche “un passato poco lecito”.

Durante il suo “viaggio” nella comunità parrocchiale, il Papa incontrerà i bambini del catechismo, i malati, le famiglie – con alcune mamme che hanno appena partorito – i poveri, i giovani. Sono loro il centro pulsante delle attività pastorali: a Santa Maria Josefa la Cresima non è “il sacramento dell’addio”, c’è un gruppo di ragazzi tra i 14 e i 18 anni che si incontra regolarmente, con due catechisti e il viceparroco, don Luca Bazzani.

“Sta a noi, padri della comunità, creare un po’ di comunione”, dice don Francesco a proposito del suo ruolo. Ed è la comunione la méta verso la quale camminare per cercare di colmare un difetto – uno solo tra “tato bene”, precisa il parroco: “I gruppi parrocchiali portano avanti le varie attività su binari diversi, paralleli: il rischio è quello di una pastorale a compartimenti stagni, ma il corpo di Cristo è uno”. È il parroco, precisa però don Francesco con un sorriso sereno, “a tenere le redini”.

Bisogna guardare le cose dalla “periferia”, per guardarle dalla prospettiva giusta, ripete spesso Francesco. Così il parroco di Castelverde ci aiuta a decostruire la lettura mediatica di una Chiesa caratterizzata da due “fazioni” contrapposte pro o contro il Papa, che si fronteggiano affilando le armi non sempre lecite.

“C’è sempre stato e ci sarà uno scontro fuori e dentro la Chiesa”, dice don Francesco: “Il demonio esiste e usa tutte le sue forze”. “Chi deve fare del male lo fa, chi vuole attaccare la Chiesa la attacca, da tutti i lati”, aggiunge a proposito dei manifesti apparsi nei giorni scorsi sui muri di Roma: “A me hanno insegnato ad essere fedele: il Papa è il Papa”.

La gente, assicura il parroco, “è innamorata di Francesco”: “Noi pendiamo dalle sue labbra, è lui che ci darà le direttive, noi vogliamo metterle in pratica”.

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