Rifiuti speciali: don Patriciello (parroco Caivano), “lo smaltimento illegale si traduce in morte e malattia”

“Questi dati tengono conto del lavoro in nero?”: è la domanda che pone, in un’intervista al Sir, don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano, impegnato in prima linea da anni sulla questione ambientale in Terra dei fuochi, tra le province di Napoli e Caserta, in occasione della presentazione, a Roma, giovedì 18 luglio, del XVIII Rapporto “Rifiuti speciali 2019”, report annuale dell’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale)/Snpa (Sistema nazionale di protezione dell’ambiente). “In Campania – sottolinea il sacerdote – il problema dei rifiuti industriali è strettamente connesso con il lavoro in nero. Su questo aspetto nessuno ha voluto intervenire. Eppure, questo problema lo abbiamo sempre denunciato. In un incontro a Caserta con l’allora premier Matteo Renzi e il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, presentai la questione e il governatore mi rispose: ‘Con la disoccupazione che abbiamo non è pensabile mettere le mani sul lavoro in nero’. Una risposta che mi fece gelare il sangue nelle vene”. Purtroppo, prosegue don Patriciello, “tutto ciò che si produce in nero nella nostra Regione viene, di conseguenza, smaltito illegalmente. Qui, in Campania, basti pensare a tutta la filiera di piccole industrie di abbigliamento, scarpe e borse, pellami, dove la maggior parte degli operai lavora in nero. Nei roghi tossici insieme alle immondizie bruciano gli scarti delle industrie: sono quelli i più pericolosi. Se i dati del Rapporto sono quelli che denunciano gli stessi industriali, i controllati e i controllori coincidono…”.
Tante volte, evidenzia il parroco, “quando si parla di evasione fiscale si pensa solo al danno economico, ma non è così. Il danno economico che viene dall’evasione fiscale è la parte meno importante: infatti, dietro questi dati economici c’è dietro il lavoro nascosto e lo smaltimento illegale, che si traduce in malattia e morte per le terre dove i rifiuti vengono interrati o bruciati. Ancora una volta dobbiamo insistere sul rapporto tra ambiente e salute. Quello che noi chiamiamo prevenzione primaria, cioè effettuare screening sulla salute, per me viene al secondo posto dopo la tutela dell’ambiente dove vivo: se continuo a respirare diossina dai roghi tossici, a mangiare prodotti della terra inquinata, a riempire il mare di plastica e poi mangiamo i pesci che se ne sono cibati, di quale prevenzione parliamo?”.

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