Sinodo sull’Amazzonia: Instrumentum laboris, cambiamenti climatici stanno portando a “punto di non ritorno”

Dai popoli amazzonici, dobbiamo imparare il “buon vivere”, cioè la capacità di “ vivere in armonia con sé stessi, con la natura, con gli esseri umani e con l’essere supremo, perché esiste un’intercomunicazione tra tutto il cosmo, dove non esiste chi esclude né chi è escluso, e che tra tutti si possa forgiare un progetto di vita piena”. “Ma la vita in Amazzonia – si legge nell’Instrumentum laboris diffuso oggi in preparazione all’appuntamento di ottobre – è minacciata dalla distruzione e dallo sfruttamento ambientale, dalla sistematica violazione dei diritti umani fondamentali della popolazione amazzonica”: in particolare, “la violazione dei diritti dei popoli originari, come il diritto al territorio, all’autodeterminazione, alla delimitazione dei territori, alla consultazione e al consenso previo”. “La minaccia alla vita deriva da interessi economici e politici dei settori dominanti della società odierna, in particolare delle compagnie estrattive, spesso in connivenza, o con la permissività dei governi locali e nazionali e delle autorità tradizionali” degli stessi indigeni, si denuncia nel testo a proposito dell’indifferenza alle grida dei poveri e della terra segnalata dalla Laudato sì. Le comunità dell’Amazzonia, nel dettaglio, ritengono che la loro vita sia minacciata soprattutto da: “la criminalizzazione e l’assassinio di leader e difensori del territorio; l’appropriazione e la privatizzazione di beni naturali, come l’acqua stessa; le concessioni a imprese di disboscamento legali e l’ingresso di imprese di disboscamento illegali; caccia e pesca predatorie, soprattutto nei fiumi; megaprogetti: idroelettrici, concessioni forestali, disboscamento per produrre monocolture, strade e ferrovie, progetti minerari e petroliferi; inquinamento provocato dall’intera industria estrattiva che crea problemi e malattie, in particolare ai bambini/e e ai giovani; il narcotraffico; i conseguenti problemi sociali associati a tali minacce come l’alcolismo, la violenza contro la donna, il lavoro sessuale, il traffico di esseri umani, la perdita della loro cultura originaria e della loro identità (lingua, pratiche spirituali e costumi), e l’intera condizione di povertà a cui sono condannati i popoli dell’Amazzonia”. Attualmente, i cambiamenti climatici e l’’aumento degli interventi umani (deforestazione, incendi e cambiamenti nell’uso del suolo) “stanno portando l’Amazzonia a un punto di non ritorno, con alti tassi di deforestazione, spostamenti forzati della popolazione e inquinamento, mettendo a rischio i suoi ecosistemi ed esercitando pressione sulle culture locali”, il grido d’allarme del testo, in cui si fa notare che “soglie di 4°C di riscaldamento o 40% di deforestazione sono ‘punti di svolta’ del bioma amazzonico verso la desertificazione, il che significa una transizione verso un nuovo stato biologico generalmente irreversibile. Ed è preoccupante trovarsi oggi già tra il 15 e il 20% di deforestazione”. “Gli impatti causati dalla distruzione multipla del bacino panamazzonico generano uno squilibrio del territorio locale e globale, nelle stagioni e nel clima”, la denuncia: la “cura della vita”, invece, “si oppone alla cultura dello scarto, della menzogna, dello sfruttamento e dell’oppressione. Allo stesso tempo, implica l’opporsi ad una visione insaziabile di crescita illimitata, di idolatria del denaro, ad un mondo distaccato (dalle sue radici, dal suo ambiente), ad una cultura della morte”.

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