Iraq: Msf, storie di vita tra le macerie di Mosul a un anno dalla fine del conflitto

Si chiama Anas, ha 12 anni, e si trova attualmente nella struttura chirurgica e post-operatoria per feriti di guerra di Medici senza frontiere (Msf) a Mosul est, dove lo stanno curando per piaghe da decubito. Durante il conflitto è stato colpito alla spina dorsale da alcune schegge e da allora non può più camminare. “Eravamo all’aperto quando dal nulla sono stato colpito da un proiettile – racconta -. Nell’attacco alcune persone sono morte, altre sono rimaste ferite. Mi sono trascinato per strada fino all’arrivo dell’ambulanza. Dopo quanto mi è accaduto ero davvero triste quando guardavo i miei amici giocare. Oggi ho imparato a non sentirmi frustrato”. Di storie come quelle di Anas, all’ospedale di Msf se ne incontrano tante. Storie di ferite che chiedono di essere risanate. Nel corpo e nell’anima. Nashwan ha 42 anni ed è stato colpito ad una gamba e alla schiena da un cecchino nel marzo 2017, mentre stava acquistando del cibo a Mosul. Le ferite riportate gli provocano da allora grande dolore e gli impediscono di lavorare. Anche lui è in cura nell’ospedale di Msf a Mosul est. “Sono andato all’ospedale generale a Mosul ovest e lì hanno fatto lastre e analisi e hanno detto che avevo bisogno di un grosso intervento chirurgico, ma non avevano la possibilità di farlo – racconta -. La ferita ha avuto un impatto negativo sulla mia vita, sulla mia famiglia, sul modo in cui interagisco con i miei bambini. Non posso giocare con loro. Non posso lavorare e non abbiamo un’altra entrata”. E c’è poi la testimonianza di Brunilde Germani, chirurgo Msf, che nel 2017 ha soccorso nell’ospedale da campo allestito da Msf, una bambina che era rimasta sepolta cinque giorni sotto le macerie della sua casa, mentre cenava con tutti i membri della sua famiglia. “All’improvviso si è trovata la casa addosso, tutta la sua famiglia distrutta – racconta Brunilde Germani -. È stata portata in salvo da uno zio che aveva avuto la notizia e che nonostante mille difficoltà per raggiungere il posto, inagibile e pericoloso nelle vie della vecchia Mosul sotto assedio, ha avuto la forza e il coraggio di portarla nel nostro ospedale. Sono stata con lei un po’ di tempo, le tenevo la mano. I suoi occhi erano grandi e fissavano il vuoto, non una lacrima né una parola. Aveva gli arti fratturati ma nessun segno di dolore. Dopo qualche ora è arrivato il fratello che era con lei e si era salvato. Un abbraccio fra loro ed è scoppiata in un pianto infinito”.

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