Ong e migranti: Moas, in 3 anni salvate 40.000 persone. “Oggi più che mai non possiamo interrompere le operazioni”

“Oggi più che mai non possiamo permetterci di interrompere le nostre operazioni: mentre rimaniamo qui a discutere sul da farsi per bloccare i flussi o evitare gli sbarchi, c’è chi continua a rischiare la vita in mare”. Lo afferma oggi Regina Catambrone, co-fondatrice del Moas (Migrants offshore aid station), la prima iniziativa privata di ricerca e soccorso in mare, in occasione del terzo anniversario della sua fondazione. Il 30 agosto 2014 una nave del Moas ha infatti soccorso per la prima volta un gruppo di migranti nel Mediterraneo, spinta dal suo credo: “Nessuno merita di morire in mare”. In tre anni il Moas ha salvato oltre 40.000 persone tra il Mar Egeo e il Mediterraneo Centrale, consapevoli che “il Mediterraneo è sempre stato un teatro instabile e poco sicuro – prosegue Catambrone – e il clima non è certo cambiato adesso”. Perciò hanno deciso di firmare, per primi, il Codice di condotta proposto dal governo italiano, per “far fede alla nostra missione umanitaria – aveva detto in quell’occasione il fondatore Chris Catambrone – consentendoci di sbarcare le persone che soccorriamo”. E di non sospendere le proprie operazioni come hanno fatto altre Ong. Moas si dice oggi “consapevole del fatto che le operazioni di ricerca e soccorso in mare non sono la soluzione all’attuale fenomeno migratorio di massa” ma è decisa a continuare la sua missione con “le dovute precauzioni” finché “ci saranno persone talmente disperate da continuare a rischiare la vita sui cosiddetti ‘viaggi della morte'”.  Moas conclude ripetendo il suo appello alle autorità europee “per la creazione di corridoi umanitari” quale “alternativa sicura” per i più vulnerabili in cerca di asilo internazionale.

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