Rifugiati: Australia-Usa, marcia indietro sui ricollocamenti

(DIRE-SIR) – L’Unhcr ha accusato apertamente il governo dell’Australia per non aver tenuto fede a un accordo sul ricollocamento dei rifugiati, siglato con gli Stati Uniti a novembre, quando Obama era ancora presidente. L’accordo prevede il trasferimento verso gli Stati Uniti di 1.250 immigrati rinchiusi nei centri di detenzione “offshore” sulle isole di Nauru e Manus, quest’ultima della Papua Nuova Guinea. Ma come ha denunciato l’Alto commisario Onu Filippo Grandi, il ricollocamento, che dovrebbe avvenire sotto il coordinamento dell’Unhcr, non è ancora stato effettuato. Inoltre, queste persone – molte delle quali non escono dai centri da quattro anni – hanno ricevuto dalle autorità due sole opzioni: andare in Cambogia o negli Stati Uniti. “L’accordo prevedeva che coloro che avevano legami familiari in Australia sarebbero stati infine accolti”, si legge nella nota ripresa dalla “Cnn”, “ma di recente il governo ci ha comunicato di aver rifiutato di accogliere persino queste persone”, le quali sono state informate “delle uniche due opzioni possibili”: gli Stati Uniti o la Cambogia, appunto.
Il governo australiano non ha tardato a replicare alle accuse, spiegando che la sua posizione “è stata chiara e coerente”: a tutti quelli che sono stati trasferiti in quei centri “non sarà mai consentito l’ingresso in Australia”. Nel 2013 Canberra aveva dichiarato che non avrebbe permesso l’ingresso né concesso l’asilo politico ad alcuno dei migranti che sarebbero giunti sull’isola illegalmente. Da allora, la linea del governo di destra conservatore non è cambiata. Tuttavia, sia in patria sia fuori molte polemiche si sono sollevate contro la pratica di esternalizzare ai Paesi vicini la gestione dei migranti recuperati in mare: i centri sono stati definiti dalle organizzazioni per i diritti umani “vere e proprie prigioni”, e per questo ora Canberra sta cercando di porvi rimedio trasferendo i circa 2mila ospiti altrove. La Cambogia, però, secondo molti non è un Paese sicuro in quanto non garantisce il rispetto dei diritti. Gli Stati Uniti invece sono giudicati troppo lontani, laddove spesso i migranti hanno amici o parenti già residenti in Australia. In questi anni, diversi giovani migranti si sono dati fuoco nei centri di detenzione in segno di protesta, o per la disperazione di non riuscire a ricevere risposte dalle autorità e quindi prospettive per il futuro.

(www.dire.it)

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