La Civiltà Cattolica: Zollner (Gregoriana), no alla “mentalità da trincea” sugli abusi

Le vittime considerano la Chiesa, “nella sua reazione alla denuncia di un abuso, più come un’istituzione preoccupata di se stessa che non come una madre amorevole”. Lo scrive padre Hans Zollner, docente di psicologia alla Pontificia Università Gregoriana, sull’ultimo numero de La Civiltà Cattolica, in uscita sabato 4 novembre. “Uno degli argomenti spesso usati sino ad oggi, e cioè che la violenza sessuale sui minori sia un problema della Chiesa decadente occidentale, è manifestamente falso e deviante”, la tesi del gesuita: “Distoglie l’attenzione dal fatto che vi sono chiaramente nella vita della Chiesa fattori che favoriscono l’abuso, oppure nascondono e impediscono la sua scoperta e la sua punizione”. Un esempio per tutti, la formazione: “Nella maggior parte dei processi educativi dei futuri religiosi e dei futuri sacerdoti la formazione alla maturazione umana occupa ancora un posto secondario”. C’è poi una falsa concezione del sacerdozio, secondo la quale “chi è dotato di un potere sacro può prendersi quello che vuole”. Per Zollner, “una mentalità di questo genere può spiegare, almeno in parte, perché alcuni sacerdoti che hanno abusato di bambini e di giovani lo neghino, oppure si ritengano essi stessi vittime o solo complici e spesso non lascino intravedere di capire la sofferenza che hanno causato”. “Coloro che subiscono abusi riferiscono spesso che, quando hanno avuto un contatto sessuale, sono loro, e non il sacerdote, a sentirsi cattivi e sporchi”, spiega Zollner: “Se si cerca una risposta al perché così tanti soggetti colpiti non siano stati in grado di far parola dell’abuso per anni e decenni, una delle spiegazioni consiste nel conflitto di coscienza e nell’insopprimibile dilemma tra il sentirsi vittima di un incontenibile atto di violenza e il peso enorme di dover attribuire questa crudeltà a un sacerdote”. Un altro ingrediente che rende possibile l’abuso e ne impedisce la scoperta, secondo il gesuita, è la “mentalità da trincea”, in base alla quale “si vogliono risolvere le cose all’interno, escludendo la dimensione pubblica, perché si teme per la propria reputazione o per quella dell’istituzione”, dimenticando così la sofferenza delle vittime.

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