Parrocchie aperte: don De Stasio (Missioni cattoliche italiane in Svizzera), “accoglienza e disponibilità vissute non solo faccia a faccia”

Le parole e l’invito di domenica scorsa di Papa Francesco, durante il Giubileo dei diaconi, “mi fanno pensare a quella frase del salmo 8: ‘che cosa è l’uomo perché te ne curi?’. Prendersi cura, esser disponibili, vivere lo stile dell’accoglienza e del servizio sull’esempio di Gesú, che senza misura ha dato tutto se stesso per noi, gratis per giunta”. Così il coordinatore nazionale delle Missioni cattoliche italiane in Svizzera, don Carlo De Stasio, parla del suo servizio alle comunità italiane in terra elvetica. Don De Stasio è in Svizzera da 12 anni a servizio dei migranti italiani di ieri e di oggi, assieme ad altri preti, religiose e assistenti pastorali, collaboratrici e collaboratori pastorali. “Il mio tempo – ci dice – trascorre passando da un luogo all’altro: l’ufficio della missione, le diverse chiese su comuni diversi della stessa Mci, le case dei nostri connazionali, l’ospedale e le diverse case di riposo, le tante riunioni a vari livelli. Non ci sono orari, o meglio, gli orari d’ufficio ci sono, ma poi viene il bello! Penso che oggi noi tutti – aggiunge il sacerdote – viviamo in un’epoca segnata da accelerazioni, velocizzazioni, così che i ‘disturbi’ del vivere il tempo si sono fatti più evidenti e gravi”. Per don De Stasio l’accoglienza e la disponibilità vengono vissute “non solo nell’incontro ‘faccia a faccia’ ma anche mediante le tante e-mail che giungono, le telefonate che arrivano non solo al telefono dell’ufficio parrocchiale, ma anche al cellulare, compagno fedele di viaggio che ti segue ovunque giorno e notte, o magari attraverso i messaggi che giungono da WhatsApp”. “Alle volte – racconta – il tempo lo vivo come il nemico contro cui debbo lottare, il fantasma che mi insegue; non ho tempo, sono divorato dal tempo. Il tempo rischia di diviene l’idolo a cui sono quotidianamente alienato. Ma non è il tempo l’ambito in cui si gioca la mia fedeltà al Signore, alla comunità, alle singole persone? Faccio già tanto, molto, forse troppo e Papa Francesco mi chiede di non avere orari, piú di cosi? Forse debbo imparare a vivere il tempo come dono e impegno; debbo ‘santificare’ il mio tempo, cioè imparare a disciplinarlo, separarlo, riservarlo intelligentemente, stabilendone priorità, ciò che dev’essere centrale, i momenti di riposo. Mi pare giusto come preti darci una regola, non per essere formalistici o legalistici ma per vivere l’ ‘oggi’ di Dio armonizzando le esigenze del ministero assieme a quelle umane e perché no, a quelle legate al giorno di riposo e di festa”.

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