Giubileo: mons. Dal Molin (Cei), “tutte le storie vocazionali si collocano nel contesto della misericordia”

“Chi ruota continuamente attorno a sé e ai propri problemi, si fa del male. Chi si pone come unico obiettivo di liberarsi dalle proprie angosce, resterà sempre con lo sguardo fisso sulla sua paura. Chi vuol tenere tutto sotto controllo, perderà certamente il controllo della propria vita”. Lo ha detto questa mattina monsignor Domenico Dal Molin, direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale delle vocazioni, intervenendo al Santuario San Leopoldo Mandic di Padova al simposio organizzato dai padri Cappuccini della provincia veneta a conclusione del Giubileo della Misericordia e dell’Anno Leopoldiano. Mons. Dal Molin ha ricordato che “una corretta stima di se stessi passa per una lettura, magari aiutata, dei propri eventi interiori e della propria storia relazionale, che ci permette di capire potenzialità e limiti, di valorizzare gli uni e integrare gli altri, senza inutili ritorsioni contro se stessi che ci fanno colare inesorabilmente a picco”. Per il direttore dell’Ufficio “c’è un altro tipo di sofferenza, oltre a quella della malattia fisica, che spesso ci fa sentire impotenti: sono le paure e i blocchi interiori, le paralisi del cuore e della volontà, quando tutto dentro di te invoca serenità e pace, mentre tu vivi momenti di incertezza, di buio e di inquietudine”.

“Non esiste una bacchetta magica per vincere le insicurezze”, ha spiegato mons. Dal Molin: “È la nostra concezione di vita che va messa in discussione. Occorre non occuparci subito dei sintomi, ma delle cause e avere una visione di vita che ci consenta di vivere debolezze e inibizioni”. L’epoca del benessere, infatti, “porta a non saper più selezionare quello che può essere utile e veramente indispensabile da quanto è effimero ed inutile”. Quanto al tema del perdono, ha precisato il direttore che nel corso dell’intervento ha citato a più riprese il pensiero di San Leopoldo Mandic, “ci vuole un cuore coraggioso e audace per non cedere al desiderio della rivalsa o della vendetta, per non vivere il turbinio della rabbia o della colpa, e per aprire la porta della accoglienza e del perdono. Il misericordioso non è il più debole, è sempre il più forte”. D’altra parte, “tutte le storie vocazionali si collocano nel contesto della misericordia. Esse si intrecciano con un cammino di consapevolezza della propria fragilità e miseria, ma anche con l’esperienza di un Dio che ci accoglie così come siamo”.

© Riproduzione Riservata

Quotidiano

Quotidiano - Italiano

Mondo

Informativa sulla Privacy