Canonici regolari lateranensi: card. Zuppi, “la Chiesa non è un ‘club’, un comitato di gestione, un consultorio, un gruppo di auto aiuto”

(Foto: Canonici regolari lateranensi)

“Celebriamo è un appuntamento di comunione: storie diverse che si uniscono per camminare insieme. Mi ha colpito che voi non abbiate un fondatore in senso stretto ma che abbiate messo insieme storie diverse per rispondere meglio alla chiamata del Signore. Chiedo tanto che ci sia questa intelligenza, per guardare insieme al futuro, per trovare le risposte più adeguate. Che non conservino solo una storia, ma possano investirla come fu 200 anni fa e come ci è chiesto – a tutti noi, alle nostre famiglie e alle nostre comunità – per rispondere sempre meglio alle domande di oggi, non a quelle di ieri”. Sono le parole che il card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza episcopale italiana, ha rivolto ai Canonici regolari lateranensi, nel corso della messa pontificale celebrata ieri nella basilica di San Giovanni in Laterano. Una liturgia solenne a conclusione delle iniziative organizzate nelle ultime settimane per ricordare il bicentenario della rifondazione dell’ordine dei Canonici regolari del Santissimo Salvatore lateranense.
“Sono sicuro che quando i preti vivono assieme nelle fraternità – ha aggiunto ancora Zuppi – è più facile che questa diventi anche comunione con la loro famiglia, cioè le parrocchie e le comunità a loro affidate. Il ‘clerico vagante’ – come anche il ‘cristiano vagante’ – è sempre pericoloso: vive male lui e fa vivere male gli altri. Nostro Signore ci ha dato una famiglia e il cristiano non è mai un ‘single’. Lo può essere anagraficamente ma, per fortuna, siamo sempre fratelli, abbiamo sempre una Madre e un Padre e quindi non diventiamo nemmeno orfani”.
Il presidente della Cei ha parlato del carisma e della forma di vita religiosa che si sperimenta da secoli nelle fraternità sacerdotali guidate dall’abate generale, don Franco Bergamin, e che si ispirano alle prime comunità cristiane di Gerusalemme. “Questo vostro carisma – ha detto Zuppi – unisce la vita comune e la preghiera, l’essere radicati nella diocesi e allo stesso tempo avere un respiro più largo. Una regola bellissima perché sappiamo che non è facile vivere insieme, per la fragilità della nostra debolezza, per i nostri caratteri. Essere figli e fratelli è la nostra grazia e c’è un gran bisogno di fraternità, nella Chiesa, tra i preti, nelle nostre famiglie perché non è scontato. Possiamo vivere anche sotto lo stesso tetto ma avere i cuori molto distanti”.
Pensare alla comunione significa anche riflettere sul legame con la Chiesa di Roma e con il Papa. “Anche la Chiesa, come ciascuno di noi – ha aggiunto il card. Zuppi -, può perdere l’anima, cioè non essere più se stessa e diventare un ‘club’, più o meno raffinato, un comitato di gestione, un consultorio, un gruppo di auto aiuto. E invece, è molto di più di tutto questo: è casa, è famiglia, la famiglia nella quale contempliamo la Sua presenza e nella quale spezziamo la Sua eucaristia. Ecco perché oggi siamo contenti di essere qui: perché comprendiamo la ricchezza di questa regola che ci aiuta a non essere mai solitari. Non si è preti senza una comunità e direi anche che non si è cristiani senza una comunità e senza una dimensione universale. Il cristiano davvero non può essere solo e, in questo tempo di tanto individualismo che fa perdere l’anima, sentiamo la grazia di una famiglia e di una comunione come questa”.

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