Coronavirus ad Haiti: Cadorin (Caritas italiana), “sistema sanitario impreparato a emergenza. Primi contagi tra giovani e donne”

Ad Haiti c’è stato ieri il primo decesso a causa del coronavirus. Si tratta di un noto avvocato, morto in un ospedale della zona metropolitana della capitale Port-au-Prince. Su 217 tamponi effettuati sono risultati finora 21 casi positivi, di cui più della metà tra i 20 e i 44 anni. La maggior parte provengono dalla capitale Port-au-Prince. “Si tratta di giovani e donne, ossia dati in controtendenza rispetto a quelli registrati nel resto del mondo”, conferma al Sir da Port-au-Prince Alessandro Cadorin, operatore di Caritas italiana ad Haiti. “Le strutture ospedaliere e di salute sono per lo più fatiscenti e mal equipaggiate – spiega Cadorin – ed il personale medico non è formato per affrontare questa nuova malattia: i medici non sanno come comportarsi, come muoversi, cosa fare. È evidente che il Paese non ha le capacità ed è del tutto impreparato a fare fronte ad una potenziale emergenza. Il numero dei test effettuati è molto ridotto”. Al momento ci sono solo 124 posti letto in terapia intensiva e 64 respiratori per una popolazione di quasi 12 milioni di abitanti. Il governo ha subito approntato misure restrittive: coprifuoco alle 20, scuole e fabbriche chiuse e un limite di dieci persone per le riunioni. Sono stati chiusi porti, aeroporti e frontiere ma le merci ancora transitano dalla vicina Repubblica Dominicana. La maggioranza degli haitiani vive in piccole abitazioni totalmente prive di servizi, in bidonville sovraffollate o in aree rurali sperdute. “È quindi impensabile l’isolamento e la quarantena a casa – prosegue Cadorin –, considerando anche la difficoltà diffusa ad accedere ai beni essenziali. Una situazione potenzialmente esplosiva se si pensa che solo il 23% della popolazione ha accesso ad acqua e sapone”. La disoccupazione è aumentata a causa della chiusura di alcune aziende ma le persone devono comunque spostarsi per acquistare cibo al mercato e cercare di guadagnare qualche soldo tramite lavoretti informali. Le Ong presenti nel Paese hanno paura che la tensione possa salire rapidamente: “Si teme per l’incolumità degli stranieri e dei malati di coronavirus che, già stigmatizzati, potrebbero diventare bersaglio di atti di violenza”. Molte persone risultate positive al test, informa Cadorin, “ricevono minacce di morte da parte della popolazione, che reagisce in maniera assurda”.

© Riproduzione Riservata

Quotidiano

Quotidiano - Italiano

Riepilogo

Informativa sulla Privacy