Colombia: appello dei vescovi, “assumere con urgenza il cammino verso pace definitiva”

Al termine della Settimana per la pace e a due anni dalla visita del Papa, la Conferenza episcopale colombiana rinnova attraverso un articolato comunicato l’appello ad “assumere con urgenza il cammino verso una pace definitiva, la riconciliazione personale e sociale, il rifiuto della violenza, il consolidamento dell’unità e del rispetto per le istituzioni”.
La nota – firmata dal presidente della Conferenza episcopale colombiana (Cec), mons. Oscar Urbina Ortega, arcivescovo di Villavicencio, dal vicepresidente, mons. Ricardo Tobón Restrepo, arcivescovo di Medellín, e dal segretario generale, mons. Elkin Álvarez Botero, vescovo ausiliare di Medellín – riprende le parole pronunciate due anni fa, a Villavicencio, da Papa Francesco: “È l’ora di disattivare gli odi, rinunciare alle vendette e aprirsi alla convivenza basata sulla giustizia, sulla verità e sull’autentica cultura dell’incontro fraterno”. I vescovi colombiani, dunque, al termine di una Settimana rattristata dalla decisione di alcuni membri delle Farc di tornare alla lotta armata e da alcuni gravi omicidi nei dipartimenti periferici, chiedono di “accrescere lo sforzo e l’impegno per arrivare alla tanto anelata riconciliazione”.
Tutto ciò implica di “superare le differenze politiche, ideologiche, culturali ed economiche e lasciare a lato gli interessi e propositi individualisti”.
Nella nota si conferma l’appello alla difesa di ogni vita dal concepimento fino alla morte naturale e la condanna di ogni violenza e si ricorda che “nel cammino di riconciliazione sono fondamentali il dialogo, l’onestà, la cooperazione e la giustizia sociale”.
Entrando nella dinamica del postconflitto, i vescovi affermano che siamo chiamati “ad appoggiare coloro che hanno lasciato le armi per reincorporarsi nella vita politica, economica e sociale” ed esprimono in particolare “vicinanza e appoggio” agli ex guerriglieri che vivono all’interno dei Centri di reintegrazione e capacitazione. Chiedono inoltre il consolidamento di programmi di sviluppo nei vari territori del Paese, attesi “come risposta all’assenza storica dello Stato nelle zone dove più forte è stato l’impatto della lotta armata”.

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