Striscia di Gaza: suor Tighe (Caritas Gerusalemme), “porre fine all’embargo, aprire i valichi. Israele in grado di verificare ogni flusso”

“Gli abitanti di Gaza sono in mezzo a due conflitti: Hamas contro Israele, Hamas contro Fatah. Non hanno nessuna speranza di futuro, non credono più nella riconciliazione interpalestinese né tanto meno nel processo di pace con Israele. I più giovani crescono covando rabbia, hanno visto solo guerre e scontri, sono costretti a vivere in condizioni impossibili, senza mai poter uscire oltre il muro che li imprigiona, incapaci di socializzare con il resto del mondo. Così, disperati, protestano al confine, quasi suicidandosi”. È quanto si legge sull’ultimo numero (agosto-settembre) di Italia Caritas che dedica un ampio servizio alla situazione nella Striscia di Gaza dove in queste ultime ore la tensione è altissima con lanci di razzi contro Israele e raid aerei israeliani in risposta. I numeri riportati da Caritas Italiana sono impietosi: “disoccupazione a livelli altissimi; circa 8 persone su 10 sopravvivono grazie agli aiuti internazionali; 80% della popolazione vive sotto la soglia di povertà”. Spiega suor Bridget Tighe, direttrice di Caritas Gerusalemme: “Dopo le ultime tre guerre, ravvicinate (2009, 2012 e 2014), la ricostruzione delle abitazioni e delle infrastrutture prosegue a rilento. Alcune famiglie sono rientrate in case parzialmente rifatte, altre attendono i lavori. L’energia elettrica viene erogata solo per 3 o 4 ore al giorno, insufficienti per far funzionare condizionatori e frigoriferi. La maggior parte dell’acqua disponibile non è potabile. In estate le condizioni di vita peggiorano ulteriormente, anche dal punto di vista igienico-sanitario. Soprattutto per i bambini, gli anziani, i disabili, i malati, i più deboli. Le strade sono inondate da immondizia, il sistema fognario è pressoché inesistente e i liquami sversano in mare”. Caritas Gerusalemme stima che “almeno 900mila persone siano bisognose di assistenza medica umanitaria, offerta gratuitamente, in aggiunta al sistema sanitario di base, che copre i bisogni di circa 300mila persone. Per finanziare le cure sono necessari almeno 32 milioni di dollari, una cifra non enorme, ma che purtroppo le Ong locali o internazionali fanno fatica a trovare”. Un recente appello di Caritas Gerusalemme, che da anni lavora nella Striscia di Gaza con due cliniche mobili, “è stato coperto solo al 50%: mancano 75mila dollari”. La scarsità di fondi è aumentata “drammaticamente” in seguito alla decisione del presidente Usa, Donald Trump, di tagliare i fondi destinati all’assistenza umanitaria attraverso l’agenzia statunitense Usaid. “Un taglio talmente importante, che lo scorso febbraio l’agenzia ha chiuso tutte le attività a Gaza e in Cisgiordania, lasciando decine di progetti umanitari senza fondi”. Secondo suor Tighe, “è assolutamente necessario porre fine all’embargo, aprire i valichi così che le persone possano uscire per curarsi e lavorare. Questo è ciò che desidera la stragrande maggioranza della popolazione di Gaza. Israele sarebbe assolutamente in grado di controllare e verificare ogni flusso. Caritas – ribadisce la direttrice – è contro la violenza, da qualsiasi parte essa venga. La violenza non può essere la soluzione. Anche il blocco è una forma di violenza. Aprire i valichi e rimuovere il blocco potrebbe favorire un miglioramento delle condizioni di vita di Gaza. E allentare la tensione che si scarica su Israele”.

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