Perdonanza Celestiniana: card. Bertello, “non basta una religiosità fatta di emozioni e gesti esteriori, ma ha il cuore chiuso verso il prossimo”

“Cosa significa per me questo rito? È solo la celebrazione di una ricorrenza festosa, pur ricca di tradizioni e di bellezza ma che lascia il tempo che trova, oppure è l’occasione per chiedermi che posto ha Gesù nella mia vita? Gesù è veramente la porta, attraverso la quale tutto il mio essere si apre a lui e si lascia condurre da lui sui sentieri del Vangelo?”. A porre questa domanda, stasera, è stato il card. Giuseppe Bertello, presidente del Governatorato dello Stato di Città del Vaticano, in occasione della messa con il rito dell’apertura della Porta Santa alla basilica di Collemaggio per la Perdonanza Celestiniana, a L’Aquila.
“Forse dobbiamo ammettere – ha osservato il porporato – che il nostro rapporto con il Signore spesso è vago, distratto, quasi impersonale, perché si lascia soffocare dalla polvere dell’individualismo, del consumismo, della ricerca del piacere a tutti i costi e, di conseguenza, le nostre scelte non reggono alla prova della cultura imperante, che si va distanziando sempre di più dagli insegnamenti del Vangelo e talvolta vengono banalizzati e anche derisi i principi della fede e della vita morale”. Eppure, il profeta Isaia ci insegna che “non basta una religiosità fatta di emozioni, che si appaga di gesti esteriori, ma ha il cuore chiuso verso il suo prossimo. Ce lo ripeterà anche San Giovanni, nelle sue Lettere: non possiamo dire di amare Dio, che non vediamo, se non siamo capaci di amare il fratello che vediamo”. Amare il fratello, ci dice il Papa, ha ricordato il cardinale, “vuol dire impegnarsi ad essere misericordiosi con gli altri come il Padre lo è con noi; a non cadere nell’indifferenza che umilia, nell’abitudinarietà che anestetizza l’animo, nel cinismo che distrugge; vuol dire aprire i nostri occhi sulle miserie del mondo e le ferite di tanti fratelli e sorelle ed ascoltare il loro grido di aiuto”.
Il card. Bertello ha rammentato anche che “S. Giovanni Paolo II, all’inizio del nuovo millennio, scriveva che la pagina del Vangelo di Matteo – avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, ero forestiero e mi avete accolto, ero nudo e mi avete vestito, carcerato e mi avete visitato – non è un semplice invito alla carità, ma è una pagina di cristologia, sulla quale si misura la fedeltà della Chiesa al suo Signore”.

© Riproduzione Riservata

Quotidiano

Quotidiano - Italiano

Territori

Informativa sulla Privacy