Eritrea: don Zerai (Habeshia) smonta 4 fake news sulla nazionalizzazione delle cliniche cattoliche

Eritrea, chiesa cattolica (Acs)

In merito alla recente nazionalizzazione delle cliniche cattoliche in Eritrea, don Mussie Zerai, presidente dell’agenzia Habeshia, smonta “alcuni commenti e dichiarazioni palesemente erronei e fuorvianti” per “chi ha interesse a conoscere la verità dei fatti”. Lo scorso 12 giugno il governo eritreo ha confiscato 21 ospedali e cliniche cattoliche. Insieme ad altri 8 centri già requisiti due anni fa, sono 29 in totale le strutture sanitarie di proprietà di congregazioni religiose o diocesi forzate alla chiusura. Nel mirino di Asmara ci sono anche 50 scuole e 100 asili cattolici. Don Zerai contesta l’affermazione secondo cui “le recenti misure adottate dal governo eritreo sarebbero un’applicazione del proclama del 1995”. All’epoca, ricorda, “la Chiesa chiarì, puntualizzò e corresse gli errori e le imprecisioni contenute nel proclama relativamente a quelle specifiche tematiche”. Ossia che alla Chiesa “non bastano chiese e cappelle per esplicitare la sua identità religiosa e celebrare la sua fede. Le occorrono luoghi e strutture anche per attuare quella componente integrale del suo credo religioso che è l’amore per il prossimo”. Altra notizia falsa diffusa è che le istituzioni caritative gestite dalla Chiesa “non apparterrebbero né ad essa né agli istituti religiosi” in quanto “donazioni di enti di beneficenza”. Don Zerai precisa: “le istituzioni di beneficenza sono libere, nel rispetto della legge, di far gestire i loro aiuti da chi vogliono”, perciò “scelgono di avvalersi delle congregazioni religiose”. “In quanto persona giuridica – sottolinea – anche la Chiesa ha il diritto nativo di acquisire e di possedere”, di conseguenza non c’è “nessun ragionevole motivo perché l’esercizio di un simile diritto possa essere vietato, fintantoché rimane immune da reati o da azioni a questi riconducibili”.
Il sacerdote eritreo punta il dito sull’affermazione che le cliniche e le scuole gestite dalla Chiesa “opererebbero solo in aree cattoliche”: “basterebbe aprire bene gli occhi e dare uno sguardo alla collocazione geografica delle nostre strutture da una parte e sulle aree di insediamento delle comunità cattoliche dall’altra” per riconoscere “la grossolana falsità dell’addebito”. Anche l’accusa che la selezione dei destinatari “obbedirebbe a criteri etnici” è “platealmente smentita” dalla diversificata appartenenza religiosa sia dei beneficiari, sia di chi ci lavora. L’ultima bufala sostiene che le strutture caritative siano “strumenti di proselitismo religioso”. Qui don Zerai lancia una sfida: “Se c’è qualcuno, fra le centinaia di migliaia di persone passate per le nostre strutture, a cui è stato chiesto di accettare il cattolicesimo come precondizione per essere curati o istruiti, può per favore farsi avanti e alzare la mano a conferma di tale illazione?”. “Ben diverso è invece il discorso – conclude – di chi liberamente e spontaneamente chiede di unirsi alla Chiesa cattolica perché edificato dalla testimonianza di vita e dalla totale dedizione a Dio”.

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