Noa Pothoven: De Rose (psichiatra), “la morte non è mai la risposta. In un cervello in crescita c’è sempre uno spazio di speranza”

“In mancanza di piena funzionalità cerebrale non vi può essere piena libertà”, sostiene in un’intervista al Sir la neuropsichiatra infantile Paola De Rose, spiegando perché non è corretto invocare il principio del libero arbitrio e della scelta consapevole di morte nella vicenda di  Noa Pothoven, la diciassettenne olandese vittima di abusi, che ha deciso di lasciarsi morire di fame e di sete. In una condizione psichica come la sua, di depressione e disturbo da stress post traumatico, prosegue l’esperta, “vengono disattivate le funzioni corticali deputate alla funzione cognitiva delle informazioni, ossia alla razionalità”, e attivate quelle “emotive deputate alla fuga”. “È come se le nostre funzioni cerebrali non riuscissero a integrarsi bene perché alcune sono disattivate e in mancanza di piena funzionalità cerebrale non vi può essere piena libertà”. E una legge che permette anche a ragazzi di 12 anni di chiedere di poter mettere fine alla propria vita “non tiene conto dei processi fisiologici di evoluzione del cervello”. Infatti, “solo dagli 11–12 anni cominciano ad attivarsi le funzioni corticali anteriori responsabili dell’elaborazione cognitiva”. Per questo un cervello di 12 anni è molto meno maturo rispetto al cervello dell’adulto: “Di questo si sarebbe dovuto tenere conto”.  La vita, afferma De Rose, va sempre e comunque essere protetta, insieme alla ricerca “in ogni caso strategie di cura. E la cura non prevede mai l’interruzione della vita. I percorsi terapeutici possono essere lunghi e complessi, più o meno efficaci; tuttavia se non tutti i casi sono risolvibili, tutti sono trattabili”. “Molti dei nostri ragazzi – conclude – migliorano: c’è sempre uno spazio di apertura e di speranza soprattutto in un cervello ancora in crescita.”

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