Sentenza Cassazione su morte feto in travaglio: Colombo (Univ. Cattolica), “riconosciuta la qualità di uomo vero e proprio”

“Forte rilevanza generale per il riconoscimento e la tutela giuridica della vita prenatale e perinatale nel nostro Paese, in qualunque stato o circostanza il concepito venga a trovarsi”. Così Roberto Colombo, docente della Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università Cattolica del Sacro Cuore e membro ordinario della Pontificia Accademia per la Vita, definisce la sentenza n. 27539/2019 depositata oggi dalla quarta Sezione penale della Corte di Cassazione che conferma la sentenza di Appello che ha condannato un’ostetrica di Salerno per avere provocato colposamente la morte di un feto durante un travaglio di parto distocico. I giudici della Suprema Corte ricordano che “si può cagionare la morte soltanto di un essere vivo. Il legislatore, quindi, ha sostanzialmente riconosciuto anche al feto la qualità di uomo vero e proprio, giacché la morte è l’opposto della vita” umana, e non potrebbe essere provocata se non su un essere pienamente vivente. Per Colombo, “si tratta di un pronunciamento molto importante e che segna un deciso passo in avanti nella giurisprudenza italiana, rafforzando il principio antropologico e giuridico che l’embrione, il feto e il neonato sono a pieno titolo ‘uno di noi’, meritevole di tutela in ogni condizione e circostanza della sua vita”. “Le ragioni addotte dai giudici della Cassazione – conclude – sono improntate ad un sano realismo scientifico e antropologico, che riconosce nel feto un autentico essere umano in corso di sviluppo, e ad un uso ragionevole della ragione giuridica che include nella categoria di donne e uomini tutti gli esseri umani, in qualunque stadio di sviluppo, condizioni fisica o psichica e localizzazione (endouterina o extrauterina) essi si trovino”.

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