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Terrorismo: Bertolotti (Ispi), “Isis sconfitto militarmente, ma non sul piano della mentalità e dell’ideologia”

“Sconfitto sul campo di battaglia ma non sul piano della mentalità e dell’ideologia. Da questo versante la risposta non può essere solo militare ma anche e soprattutto politica”: così Claudio Bertolotti, analista strategico dell’Ispi, l’Istituto per gli studi di politica internazionale, commenta al Sir la battaglia di Baghuz, l’ultima roccaforte dell’Isis in territorio siriano, poco distante dal confine iracheno. Le forze arabo-curde, con l’appoggio dell’aviazione americana, fronteggiano gli ultimi jihadisti asserragliati in un fazzoletto di terra, ben poca cosa rispetto a un terzo della Siria e un terzo dell’Iraq che avevano conquistato nel 2014. Ad alzare la posta di una eventuale resa il destino di 24 ostaggi, compresi alcuni occidentali. Tra loro potrebbe esserci anche il gesuita padre Paolo Dall’Oglio, come alcuni media libanesi hanno rilanciato. “Siamo davanti ad un risultato importante sul campo di battaglia” – dice l’analista che è anche direttore di Start InSight (www.startinsight.eu) – possiamo parlare di sconfitta militare. Ma non è la fine della guerra. Lo Stato islamico va sconfitto anche come ideologia” come testimonia la sua radicata presenza anche in Mali, Filippine, Yemen, Sinai, Libia, Nigeria, Somalia. Paesi dove Isis, in una sorta di franchising del terrore, ha concesso il suo brand di successo in cambio della fedeltà al Califfo. Conflitti locali innestati dentro un contesto di guerra e di jihad globale. Per contrastare l’ideologia dello Stato Islamico serve per l’analista “una risposta politica. Un paese non può essere abbandonato dopo l’abbattimento di un regime terribile come quello dello Stato Islamico. Occorre pensare ad una strategia di lungo respiro che lavori sul piano politico, che preveda il coinvolgimento di tutte le componenti nazionali e che risponda concretamente alle esigenze della popolazione locale in ambito di sicurezza, stabilità, infrastrutture, istruzione, lavoro, necessarie non a sopravvivere ma a vivere con dignità”. In questa opera di ricostruzione materiale e morale l’Occidente è chiamato ad avere un ruolo importante: “sostenere le popolazioni locali anche senza presenza diretta. Il ruolo dell’Occidente è proteggere – si tratta di un principio delle Nazioni Unite – le minoranze, quelle che hanno patito in questi anni di guerra le violenze peggiori. Pensiamo a yazidi e cristiani che hanno in gran parte abbandonato le loro terre in Siria e Iraq”. Nell’intervista Bertolotti parla anche dei foreign fighters catturati e che dovrebbero essere rimpatriati: “oggi sono la minaccia principale che va aggiunta a quella dei radicalizzati già presenti all’interno degli Stati. I foreign fighters di ritorno europei sono circa 4 mila. Si stima possano esserne rimasti in vita circa 2400, 800 quelli in mani siriane, irachene e curde e in attesa di processo. Si parla di soggetti che stanno facendo ritorno, alcuni – pochi in verità – anche attraverso i flussi migratori irregolari. Questo rappresenta un fattore di criticità”. Molti governi occidentali sono riluttanti a riprenderli poiché sarebbe legalmente difficile formulare accuse e istruire processi, con il rischio di doverli rilasciare. In questo senso, annota l’analista dell’Ispi, “non prendere una decisione può in parte risolvere o spostare in avanti il problema”.

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