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Francia: card. Barbarin (Lione), “forse è un errore non aver denunciato e se devo essere condannato va bene”

(Foto: AFP/SIR)

“Non conoscevo assolutamente nulla del mondo dei tribunali e della giustizia. Ciò che è bello e potente della giustizia francese è che il quadro è chiaro e si è obbligati ad ascoltare gli altri”, nel caso specifico le vittime, anche se “ne avevo già incontrate decine e decine, oltre a parenti e figli delle vittime”. Nell’intervista concessa all’emittente Kto, il cardinale e arcivescovo di Lione, Philippe Barbarin, torna anche sul processo. “Per parte mia alla sbarra sono stato tre ore e ho risposto in modo chiaro e limpido alle domande su ciò che avevo fatto. Non per dire che avevo fatto bene ma che cosa ho fatto e perché”. Sulla decisione di ricorrere in appello spiega: “È un diritto che la Francia mi concede”, accolto dietro consiglio di avvocati e procuratori, “e anche il Papa è d’accordo”. Quanto al suo considerarsi innocente il cardinale ribadisce: “Io ho spiegato che cosa ho fatto, come l’ho fatto e perché l’ho fatto. Non dico che ho fatto bene. Ho riconosciuto errori che ho fatto, ma non sono quelli che mi sono rimproverati”. Ricorda che quando ha incontrato una delle vittime nel novembre 2014 e “mi ha detto la sua tristezza per non aver sporto denuncia, ho proposto di cercare se ci fossero vittime più giovani, cosa che questa persona ha fatto”. Ma nessuno dei due aveva pensato che toccasse al cardinale sporgere denuncia e “il procuratore nella prima sentenza ha riconosciuto che la vittima era in grado di poterlo fare”. Aggiunge: “Forse è un errore non aver denunciato io e se devo essere condannato va bene”. L’articolo del codice penale in base al quale procuratore e tribunale hanno emesso due sentenze diverse è suscettibile di interpretazioni diverse, ma “se deve essere interpretato contro di me, che lo sia, come lo è stato nell’ultima sentenza”, dice pacificamente il cardinale. Ma essendoci “uno scarto tra quello che ha detto il procuratore e ciò che ha detto il tribunale, cosa che è normale”, di qui la scelta del ricorso in appello.

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