Cappellani carceri: don Grimaldi (ispettore generale), “la conversione non è un fatto intimistico, ha sempre un risvolto pubblico”

“La nostra presenza di Chiesa, in queste sezioni particolari, vuol dire che Dio non abbandona mai nessuno, il nostro impegno è, soprattutto, di annunciare a coloro che si sentono senza speranza e a volte sepolti vivi che a Dio tutto è possibile; però allo stesso tempo anche l’uomo, che si è macchiato di atroci crimini, è invitato a redimersi e a vivere un cammino di conversione, accettando di impegnarsi a fare scelte di profondo cambiamento”. Lo ha detto don Raffaele Grimaldi, ispettore generale dei cappellani nelle carceri italiane, intervenendo al seminario di formazione per i cappellani che operano nelle carceri con sezioni 41bis, che si è svolto a Roma il 3 e il 4 dicembre. “Il compito della Chiesa è quello di gridare forte davanti alle tante ingiustizie, senza aver paura delle minacce e delle intimidazioni”, ha aggiunto il sacerdote, richiamando l’invito alla conversione rivolto sia da San Giovanni Paolo II, nella Valle dei Templi, sia da Papa Francesco, il 21 marzo 2014.
“Noi tutti conosciamo molto bene i testimoni martiri che non hanno avuto paura ‘di quelli che uccidono il corpo’”, ha affermato l’ispettore generale, citando l’esempio del giudice Rosario Livatino. “Noi cappellani, entrando nelle carceri, non siamo chiamati ad assolvere nessuno, questo lo fa solo il Signore, perché solo Lui sa cosa c’è dentro l’uomo. Il nostro compito è quello di suscitare dolore per il male commesso, invitare ad alzare lo sguardo verso Il Signore della Misericordia che accoglie tutti e sa perdonare con amore di padre – ha sottolineato don Grimaldi -. La conversione chiaramente non è un fatto intimistico, comporta un impegno concreto, fattivo, ha sempre un risvolto pubblico ed esige chiaramente riparazione per il male compiuto”.

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