Fine vita: Manicardi (Bose), “cristiano non abdichi a volontà di morte degna e umana”

“È importante, per i cristiani, fuggire la tentazione di rendere la vita, nel suo aspetto puramente biologico, un feticcio. Il concetto di vita, in una visione cristiana, viene assorbito e superato in quello di persona, e nella qualità relazionale della persona stessa. Una relazione che trova nell’amore la sua più alta qualità”. A ribadirlo è Luciano Manicardi, priore della comunità di Bose, in un articolo pubblicato da “Vita e Pensiero Plus”, il quindicinale on line dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Nel testo, dal titolo “Primum vivere. E il morire?” il priore affronta il tema della “cultura feticistica della vita che punta a sovvertire l’immagine dell’uomo come definita dal limite, dalla morte” accantonando la tradizione cristiana che, invece, ha sempre visto nel “morire bene la degna chiusura dell’esistenza”. “Oggi – scrive Manicardi – si assiste al delinearsi di due atteggiamenti culturali nei confronti del morire che si possono riassumere in due modelli in tensione tra di loro. Un modello di cura e un modello di controllo”. Da un lato la cura, “lo sviluppo dell’arte dell’accompagnamento dei morenti, nel tentativo di umanizzare il morire restituendogli quella qualità relazionale che rende più sopportabile quel momento decisivo e critico del vivere” e dall’altro il “modello del controllo, quell’ideologia transumanista che ritiene che i limiti debbano essere sistematicamente superati. Una cultura di radicale erosione dei limiti, fino a rendere la morte non più il limite ineliminabile dell’esistenza umana. In particolare, questa ideologia prende forma, per ciò che riguarda il morire, nella cosiddetta postmortalità. La postmortalità è caratterizzata dalla volontà di vivere senza invecchiare, di vincere la morte con la tecnica, di prolungare indefinitamente la vita”. “Ormai l’evoluzione della medicina e le tecnoscienze applicate all’ambito biomedico agiscono con potenza intervenendo sul corpo umano decidendo il se, il come e il quando del morire o del proseguire una vita ridotta a stato vegetativo” annota Manicardi sottolineando come “la morte da tempo abbia perso la sua naturalità”. Questo “implica che anche il cristiano deve assumersi la responsabilità di una ‘certa’ gestione del morire. Per non essere in balia di personale tecnico abdicando così alla sua libertà e alla sua coscienza, alla sua volontà di una morte il più possibile degna e umana, davanti a Dio e accanto alle persone care. E in obbedienza a un percorso di fede che si gioca nell’intimo della sua coscienza e nel profondo del suo cuore”.

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