Sinodo per l’Amazzonia: Ruffini, “a volte ci vuole tempo per essere capiti”

“Il Sinodo è la Chiesa in cammino. È un cammino faticoso. Non un’arrampicata”. Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede, sceglie questa metafora per stilare – in un’intervista al Sir – un bilancio su come comunica, e come è stato recepito dai comunicatori, il Sinodo per l’Amazzonia, arrivato in dirittura finale. “Il modo in cui comunica è più un cosa che un come”, avverte. E ammette: “Non è una cosa facile da comprendere un Sinodo, in un tempo, il nostro, caratterizzato dall’istantaneità, dalla logica binaria: on-off, amico-nemico”. “Credo che il Sinodo stia comunicando l’urgenza di una conversione ecologica integrale, ci stia dicendo che tutto è collegato, che nessuno si salva da solo, che nessun posto è lontano e che di nessun nostro fratello possiamo dire: sono forse io che devo occuparmi di lui?”, spiega Ruffini entrando nel dettaglio dei temi riecheggiati in aula: “Il Sinodo ci sta dicendo che non possiamo dirci cristiani, non possiamo dirci cattolici se non ci facciamo carico del bene comune, cioè di tutti. In questo senso, anche il modo in cui comunica è un cosa più che un come. Perché al di là dei pensieri singoli c’è qualcosa che li trascende, ed è il pensiero comunitario, comunionale, di un’assemblea che non è un Parlamento, ma appunto una comunità in cammino, una comunione, la comunione ecclesiale. In questo senso, quel che sta comunicando è un pensiero nel mentre che si forma, un cammino nel mentre che lo si percorre: è un processo”.

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