Germania: lotta agli abusi, un monumento nel convitto di Ettal per ricordare le giovani vittime

A venti metri dall’ufficio del direttore del convitto di Ettal, in Germania, si trova la cappella del collegio. Dal 2016 la porta della cappella è diventata un monumento per ricordare i giovanissimi che – tra il 1945 e gli anni ’80 – sono stati vittime di abusi e violenze nel convento benedettino. Il portone monumentale, opera della scultrice Margi Unterhiner di Graswang, è uno dei passi del cammino di elaborazione compiuto da un gruppo di vittime. A raccontarlo, questa mattina a Bolzano, nell’ambito del convegno “Smascherare ed elaborare”, promosso dal Servizio specialistico per la prevenzione e per la tutela dei minori da abusi sessuali e da altre forme di violenza della diocesi di Bolzano-Bressanone, è stato Robert Köhler, presidente dell’associazione Ettaler Misshandlungs-und Missbrauchsopfer (vittime di maltrattamenti e abusi). Köhler ha frequentato per nove anni il convitto di Ettal. Anche lui, come tanti altri suoi compagni, è stato vittima di abusi. Una decina di anni fa il silenzio è stato rotto. Nel 2010 i fatti di Ettal sono stati raccontati in uno speciale di 20 pagine della “Süddeutsche Zeitung”. “L’associazione – spiega Köhler – è nata per aiutare le vittime ad elaborare i traumi subiti. Ne fanno parte una settantina di persone. Dopo che la vicenda è arrivata sui giornali è iniziato un lungo processo per elaborare l’accaduto”. Con l’aiuto di mediatori, le vittime hanno dapprima affrontato il proprio dolore e poi hanno potuto confrontarsi con i monaci. Un percorso durato una decina d’anni, che è stato scandito da una serie di tappe: il riconoscimento dei fatti da parte dei monaci, l’assistenza senza difficoltà burocratiche per trovare le terapie, i risarcimenti, la pubblicazione di un saggio sociologico e la realizzazione del portale commemorativo. “È importante mantenere alta l’attenzione – ha sottolineato Köhler – per prevenire abusi e maltrattamenti sui minori, all’interno della Chiesa e al di fuori. È accertato, infatti, che la maggior parte dei casi avvengono tra le mura domestiche, ad opera di familiari e conoscenti. Oltre a promuovere la prevenzione, le nostre comunità parrocchiali sono chiamate a vigilare e a cogliere ogni minimo segnale che possa essere indicatore di qualcosa che non va, così da venire al più presto in aiuto dei minori. Perché spesso non sono le vittime a denunciare gli abusi”.

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