Affido: Ramonda (Apg23), “istituto da tutelare, ma lavorare per risolvere i problemi nella famiglia d’origine”

“L’affido è un istituto prezioso che va tutelato, valorizzato e potenziato, ma anche sostenuto economicamente. Anzitutto, con strumenti educativi ed economici nei confronti della famiglia d’origine”. Lo scrive Giovanni Ramonda, presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII, nel numero di ottobre di Vita pastorale, anticipato al Sir, alla luce dei fatti riferiti alla vicenda di Bibbiano, a Colle di Val d’Elsa, dove si presume che alcuni bimbi siano stati tolti alle famiglie d’origine. “La disponibilità di altre famiglie interviene quando temporaneamente la famiglia d’origine è in forte sofferenza per motivi transitori”, spiega. Snocciolando i dati, Ramonda segnala che, oggi, fuori dalla famiglia d’origine, vivono 26.420 minori, quasi uno su mille minori, di cui 14.020 in affidamento familiare, 12.400 in servizi residenziali. Il presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII sostiene che “il bambino va dato in affidamento solo quando è inevitabile”. “Al tempo stesso bisogna lavorare per risolvere i problemi alla base del suo allontanamento. E, quindi, fare di tutto affinché, sempre nella famiglia d’origine, si ricreino le condizioni necessarie per il rientro del minore stesso”. Segnalando che “l’affido è la risposta adeguata a un bambino, perché se si sente amato non accumula aggressività, che farà poi pagare ad altri”, Ramonda evidenzia che “l’affido familiare è prevenzione sociale, risparmio economico, risposta civile di alta qualità”. “Le famiglie affidatarie sono un tesoro preziosissimo e una risorsa sociale insostituibile, che va sostenuta e alimentata”. E quindi “occorre creare una rete, un controllo sociale molto ampio”. “L’affidamento familiare è un’esperienza validissima dal punto di vista umano, relazionale, affettivo. E dà una risposta a quei minori più vulnerabili del Paese, creando in questi bimbi delle personalità mature”.

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