Il 2 settembre 2015 colpisce l’opinione pubblica la fotografia del corpo esanime del piccolo lan Kurdi su una spiaggia turca. L’anno successivo, con la Dichiarazione di New York, si è avviato un processo di consultazione e negoziazione sulle migrazioni che ha condotto nel luglio 2018 alla bozza finale di un Patto globale sui rifugiati. A parlarne nel quaderno n.4045 de La Civiltà Cattolica è p. Michael s. Gallagher, rappresentante Jesuit Refugee Service presso l’Onu e le altre organizzazioni internazionali a Ginevra, sottolineando il ruolo centrale giocato dalla Santa Sede sia nel processo che ha condotto al Global Compact sui rifugiati, sia nei negoziati che hanno portato all’altro Global Compact per una migrazione sicura, ordinata e regolare. “L’interesse personale di Papa Francesco ha avuto un ruolo molto positivo nel portare la questione dei profughi alla ribalta del dibattito pubblico”, osserva Gallagher ricordando il monito del Pontefice: “È importante che questi due patti […] siano ispirati da compassione, lungimiranza e coraggio […]: solo così il necessario realismo della politica internazionale non diventerà una resa al cinismo e alla globalizzazione dell’indifferenza. Il dialogo e il coordinamento, in effetti, costituiscono una necessità e un dovere proprio della comunità internazionale”. L’80% dei rifugiati mondiali vive in un piccolo numero di Paesi: Pakistan, Iran, Turchia, Libano, Giordania, Uganda, Etiopia, Kenya “che accolgono i rifugiati, sebbene ciò per loro costituisca un peso economico notevole”, fa notare il gesuita. Per questo, spiega, “si è stati attenti a dissipare i timori, espressi spesso dagli Stati ospitanti, che le misure previste dal Global Compact comportino per loro ulteriori obblighi”. Una caratteristica fondamentale del Global Compact sui rifugiati è “il suo insistere sull’inclusione, per quanto possibile, delle comunità ospitanti come co-beneficiarie dell’assistenza”. Esso porta “importanti vantaggi per i rifugiati”, tuttavia, riconosce Gallagher, “permangono gravi difficoltà sia per i rifugiati sia per i Paesi ospitanti” riguardo al diritto al lavoro, alla libera circolazione nella maggior parte delle nazioni ospitanti e al sostegno finanziario di queste ultime.