Dialogo interreligioso in Asia: Vermander (La Civiltà Cattolica), “vivere e pregare fianco a fianco, riflettere su libertà religiosa e missione dello Stato”

Negli ultimi decenni in Asia le religioni, a livello di base, “si limitano a coesistere, più che a dialogare o collaborare” mentre i conflitti molto di rado sono “semplice­mente” religiosi; in genere sono “mescolati a fattori etnici, politi­ci, economici e sociali”. Inoltre, i credenti tendono a “sottolineare la specificità del loro credo e del loro stile di vita, piuttosto che acconsentire che altre esperienze di fede vengano espresse insieme con la loro”. A delineare il quadro è Benoît Vermander, professore di Scienze religiose all’Università Fudan di Shanghai, nel quaderno 4045 de “La Civiltà Cattolica”, il primo del 2019, in uscita sabato 5 gennaio. Tuttavia, osserva, lo sviluppo so­ciale, culturale e politico dell’Asia “dipende in buona parte dal modo in cui le tradizioni religiose e le comunità di questo continente po­trebbero non soltanto coesistere, ma anche cooperare”. Secondo l’esperto, per offrire prospettive sul futuro del dialogo interreligioso nel continente, bisogna considerare in primo luogo “le radici nel passato” e distinguere le esperienze vissute nell’Asia meridionale da quelle vissute nell’Asia settentrionale. Tra queste, nel XVI secolo, la “Babele linguistica” dell’Asia meridionale, ostacolo all’evangelizzazione, cui si contrappose la relativa “unità linguistica” di Cina e Giappone. Secondo l’autore dell’articolo, le sfide da affrontare oggi sono: “Non rinunciare mai all’ideale di vivere e pregare fianco a fianco, come forma privilegiata di dialogo; apprezzare e interpretare meglio la grande varietà di classici religiosi letti e meditati in tutto il continente; collegare il principio della libertà religiosa con una riflessione sulla missione e sui doveri dello Stato”.

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