Vulnerabilità: Favi (Camillianum), “il malato è luogo di incontro con Dio”

Nell’ambito del convegno sulla vulnerabilità, Jose Michel Favi, vicepreside del Camillianum, ha ricordato la figura di San Camillo de Lellis, fondatore dell’ordine dei chierici regolari ministri degli infermi. In particolare, Favi ha sottolineato il significato indicato dal santo nella relazione con il malato. “La malattia fu il canale dell’incontro con Cristo in cui conobbe l’amore paterno e materno. Alla scuola del dolore – ha detto, ricordando l’ulcera che soffrì alla gamba lo stesso santo -, aveva acquisito la consapevolezza. Camillo vede nel malato il prossimo, trasformato dall’amore di Dio. Vede nel malato l’esercizio del suo sacerdozio, attento ad ogni forma di infermità del corpo e dell’anima, ha fatto un’esperienza di Dio vivendo e soffrendo. Aveva una visione di Dio che si è fatto prossimo all’umanità sofferente. La sua è una teologia vissuta che emerge da una prassi e fa amare il Dio prossimo dell’umanità”. “Nel malato – ha proseguito -, identifica il Cristo crocifisso e nel servo del malato vede il buon samaritano. Il malato è anche luogo di incontro con Dio. La testimonianza di Camillo trova nella Vergine Maria il modello di tenerezza, disponibilità e attenzione alla sofferenza. Da Maria, Camillo ha imparato ad essere per il malato come una madre premurosa. La sua testimonianza rimanda alla conoscenza profonda dell’uomo. Nel malato – ha concluso – scopre un essere che ci riconduce alla nostra comune origine”.

Sul concetto filosofico di vulnerabilità ha basato invece la sua relazione Piergiorgio Donatelli, ordinario di filosofia morale dell’Università La Sapienza. “Anche chi è in una condizione fortunata – ha spiegato – non deve pensare di essere autosufficiente perché non considera le tante persone che si prendono cura di lui, sebbene creda vi sia un nesso economico”. “Il filantropismo – ha ricordato – è il tipico modo di fare del bene ma nel filantropismo chi fa del bene si considera non toccato affatto dal povero. La ricerca della felicità non dovrebbe essere legata a un’immagine invulnerabile. La percezione della propria vulnerabilità è necessaria per potersi occupare della vulnerabilità dell’altro. La convinzione dell’essere perfetti – ha concluso – non ci permette di avere forme di compassione con cui si riesce invece a sentirsi peggiori degli altri e consente, da quella direzione, di aiutarli”.

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