Giovani: don Romano (Ups), “la catechesi deve poter abilitare il credente al cambiamento sociale e culturale”

“La diaspora che sta affliggendo il Sud per la ricerca spasmodica del lavoro può diventare laboratorio di pratica evangelica nel senso che può trasformarsi in opportunità formativa per aiutare i giovani, in situazione di stress e di angoscia, a rafforzare la capacità di resilienza attiva al di fuori del recinto del proprio ambiente”. Lo ha detto ieri pomeriggio padre Antonino Romano, salesiano, docente di don alla Università pontificia salesiana, intervenendo al convegno diocesano di Cosenza-Bisignano. “Un aspetto potenzialmente positivo della fuga dei cervelli – ha detto il relatore – può portare effetti benefici in chiave missionaria. Infatti, essi potranno portare fuori la ricchezza della fede cristiana”. Don Romano ha riflettuto a partire dal dossier “La stagione lieta dei diversamente credenti”, un’indagine sul rapporto tra i giovani e la religiosità commissionata dall’arcivescovo cosentino, mons. Francesco Nolè, e che ha fatto da traccia per il convegno. “La catechesi deve poter abilitare il credente al cambiamento sociale e culturale in modo tale che i giovani possano rispondere con competenza a quelle che sono le varie istanze che si presentano nella loro vita”, ha detto don Romano. Una sorta di palestra, perché “si tratta di camminare con i giovani credenti attraverso un tirocinio di vita che deve trovare salutare adattamento in quell’incubatrice di formazione che si chiama comunità ecclesiale”. Questa infatti è “una rete sociale di comunione di comunità, tra le quali spiccano il gruppo dei pari, la famiglia piccola chiesa domestica, le strutture diocesane armonicamente e strategicamente collegate tra di loro”. Per il relatore, “oggi la catechesi deve essere affrontata in un contesto di modernità non come problema ma come risorsa per costruire nuovi legami sociali”.

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