Adolescenti e comportamenti estremi: Toro (esperta), “l’emozione non è l’esperienza in sé ma la sua condivisione sui social”

Non hanno la percezione fino in fondo del rischio che corrono. Esistono solo se condividono sui social il gesto sempre più estremo. A emozionarli non è l’impresa in sé ma la sua visibilità e i “like” che ne conseguono. La virtualizzazione del gesto che fa dire loro: “Esisto se sono visibile”. Lo sostiene in un’intervista al Sir Maria Beatrice Toro, docente di psicologia di comunità presso la Pontificia Facoltà di Scienze dell’educazione Auxilium, dopo le ultime tragiche morti di adolescenti legate a comportamenti sempre più al limite da immortalare sui social nella folle moda del DaredevilSelfie o a giochi pericolosi come il Black out. “Nei ragazzi – spiega – è sempre esistita l’attrazione per il rischio, ma oggi viviamo in una società caratterizzata da una sorta di innalzamento della soglia di percezione delle sensazioni. Gli adolescenti sono abituati a sensazioni forti e cercano sensazioni sempre più eccitanti”. Esasperano insomma il bisogno di mettersi alla prova caratteristico dell’adolescenza cercando “soprattutto visibilità: emoziona non tanto il lanciarsi con il paracadute ma il farsi vedere, il riverbero che ha il gesto temerario. Non basta andare sul tetto di un grattacielo: l’emozione non consiste nell’esperienza estrema ma nella sua condivisione sui social, nella gratificazione per i ‘like’ ricevuti”. Per loro, secondo l’esperta, “la percezione della realtà concreta è filtrata dal suo racconto, è totalmente indistinguibile dal virtuale. Il reale viene vissuto nella misura in cui è virtualizzabile” e “non percepiscono il rischio di morire” perché “non hanno la percezione della dimensione corporea e dei suoi limiti come malattia e mortalità”.

 

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