Padre Puglisi: Pignatone (Procuratore Roma), “è stato l’ultimo dei delitti eccellenti in Sicilia”

“Un clima di oppressione”. Così Giuseppe Pignatone, procuratore della Repubblica di Roma dal 2012 e a Palermo dal 1970 al 1993, ha descritto l’atmosfera che si viveva nel capoluogo siciliano negli anni in cui c’erano più di mille morti per mano della mafia: “I nomi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino ne richiamano centinaia di altri”. Dopo la morte di Borsellino, don Puglisi organizzò a Brancaccio una giornata nella sua parrocchia, e un anno dopo veniva ucciso anche lui per ordine della famiglia mafiosa dei Graviano, che ancora oggi vive nello stesso quartiere della periferia palermitana. “Erano anni di una violenza incombente e senza limite, percepibili anche dai ragazzi di Brancaccio”, ha raccontato Pignatone: “Di questo rischio tanti erano consapevoli, persone comuni e persone più esposte per il lavoro che facevano”, come Falcone e Borsellino, Piersanti Mattarella, Pio La Torre. “Don Pino Puglisi sapeva del rischio che correva, ma si preoccupava piuttosto di non esporre al pericolo i suoi amici”, ha fatto notare il procuratore. “Lo Stato italiano ha sconfitto quella mafia che aveva preteso di sfidare lo Stato dall’alto della superiorità, e lo ha fatto nel rispetto dei codici”, ha affermato Pignatone: “L’omicidio di padre Puglisi è l’ultimo dei delitti eccellenti in Sicilia, dopo le stragi del ’92 e gli attentati del ’93, a Roma, a San Giovanni in Laterano e a S. Giorgio al Velabro. Voleva essere un’intimidazione a tutta la Chiesa e una risposta alle parole pronunciate da Giovanni Paolo II nel ’93, dalla valle dei templi di Agrigento”. “Con la lucidità delle sue parole e dei suoi gesti – ha concluso il procuratore di Roma – padre Puglisi ha aiutato a capire il senso della propria identità e ha combattuto una battaglia contro la cultura dell’illegalità. ‘Ciò che è un diritto non si deve chiedere come se fosse un favore’, diceva. Era una spina nel fianco della mafia”.

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