Settimana liturgica nazionale: mons. Caiazzo (Matera), “non si può amare Dio senza amare l’uomo”

Siamo chiamati ad essere “noi stessi eucaristia, nutrimento per i tanti fratelli che nella quotidianità, incontriamo, con i quali siamo chiamati a dialogare per mostrare con la nostra vita la presenza di Dio in mezzo a questa umanità, apparentemente distaccata e assente”. È quanto ha affermato ieri sera l’arcivescovo di Matera-Irsina, mons. Antonio Giuseppe Caiazzo, nell’omelia pronunciata durante la messa con i partecipanti alla 69ª Settimana liturgica nazionale, in corso a Matera. Nella memoria liturgica del martirio di san Giovanni Battista, mons. Caiazzo ne ha ripercorso la vita e la missione. Una “missione, quella di Giovanni, liberante per aiutare ogni uomo a rivestirsi di Dio e farlo allontanare da ogni forma di compromesso, di scelte egoiste, di elisir artificiali, d’illusioni senza anima, di bellezze ingannevoli, di paure e compromessi”. “L’uomo Giovanni Battista ci aiuta a ritornare all’inizio del nostro essere creature: creati da Dio e da Dio voluti a sua immagine e somiglianza”, ha proseguito l’arcivescovo, sottolineando che “la sua predicazione va nella direzione di far ritornare l’uomo a Dio: riscoprire la dignità del suo essere tale”. “La povertà dell’uomo – ha ammonito – è evidente ogni qual volta non rimane legato a Dio. Si può essere re terreni, ricchi di cose materiali, ma poveri spiritualmente”, ha osservato, riferendosi alla figura di Erode.
“La storia è maestra”, ha notato mons. Caiazzo, aggiungendo che “ogni qual volta l’umanità o parte di essa ha deciso di vivere senza più ascoltare Dio si è fatta male da sola”. “Giovanni ha capito che la vita è un dono che viene dall’alto”, ha continuato: per questo “la sua vita è a servizio dei fratelli”. L’arcivescovo ha rimarcato poi che “quanto il Signore ha fatto con Giovanni vuole compierlo in noi e attraverso di noi”. “Ci sono ponti di cemento armato che crollano generando morte e dolore, sgomento e incredulità, ma ci sono ponti umani che vengono fatti crollare per impedire che i popoli s’incontrino”. “La liturgia – ha proseguito – celebra la duplice natura di Cristo: umana e divina. Da Dio, qual era, si è svuotato facendosi in tutto simile a noi tranne nel peccato, per stare con noi e, nella condivisione dell’umano, aprendo l’intelligenza alla comprensione che non si può amare Dio senza amare l’uomo”.

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